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    A due mesi dalla strage inizia la terza fase della guerra

    I combattimenti
    Sono passati esattamente due mesi dal pogrom del 7 ottobre e
    i combattimenti proseguono. Secondo i comunicati dello stato maggiore, la
    Divisione 98, che raggruppa le forze speciali dell’esercito israeliano compresa
    la brigata Golani, ha lanciato un attacco e ha combattuto per la prima volta
    nel cuore di Khan Yunis.  Le formazioni
    israeliane hanno sfondato le linee di difesa della brigata Khan Yunis di Hamas,
    hanno circondato la città e hanno iniziato a manovrare nel cuore della zona.
    Dall’inizio dell’attacco, i combattenti della divisione hanno eliminato molti
    terroristi in collaborazione con l’aeronautica, e hanno localizzato circa 30
    pozzi di tunnel e li hanno distrutti. 
    Khan Yunis è importante anche perché buona parte della dirigenza di
    Hamas a Gaza viene da quelle parti. Netanyahu ha annunciato che è stata presa
    la casa di Sinwar, che è il capo interno dell’organizzazione terroristica (c’è
    poi una dirigenza esterna in Qatar e in Turchia, che dovrà pure essere eliminata).
    Lui non era lì, anzi secondo Netanyahu si nasconde sottoterra, ma “il cerchio
    si chiude intorno a lui”

    La dichiarazione di Herzi Halevi
    Il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano ha
    dichiarato ieri che la guerra è entrata nella sua terza fase, che dovrebbe
    consistere, a quel che si sa, nella distruzione completa delle roccaforti
    terroriste a Gaza. In effetti combattimenti molto pesanti si sono svolti e
    continuano ancora a Jabalia a Nord e, come si è detto, a Khan Younis a sud, con
    forti perdite per le milizie terroriste. Questa terza fase della guerra, che
    probabilmente implicherà i combattimenti più duri, dovrebbe durare, secondo quel
    che dicono gli esperti, circa un mese ancora, fino a quando saranno espugnati o
    distrutti anche i principali fortilizi sotterranei, naturalmente tenendo conto
    del fatto che Hamas si fa scudo tanto della popolazione civile quanto degli
    israeliani rapiti. Poi si potrà smobilitare parte dell’apparato militare e
    dovrebbero restare le truppe necessarie a ripulire le ultime sacche di
    resistenza.

    Il futuro di Gaza
    Ciò implica la necessità di prevedere come cambierà la
    Striscia dopo la guerra. Innanzitutto il problema è chi la governerà:
    l’amministrazione Biden e alcune parti “progressiste” della politica israeliana
    vorrebbero farla amministrare da un’Autorità Palestinese “rinnovata”; ma non ci
    sono tracce di questo rinnovamento, anzi i quadri dirigenti restano quelli
    corrotti e antisemiti di sempre e vi sono stati molti segni di adesione da
    parte di dirigenti dell’AP all’azione di Hamas, che è sempre più popolare anche
    in Giudea e Samaria. Netanyahu in vari discorsi ha escluso di insediare a Gaza
    l’AP e ha escluso anche un’amministrazione internazionale, una formula che ha
    mostrato il suo fallimento in Libano e altrove nel Medio Oriente. Dunque vi
    sarà un controllo israeliano almeno per qualche tempo. Ma si pone anche la
    questione della ricostruzione: sarà consentito ai gazawi di tornare dov’erano o
    sarà richiesta una zona tampone (o “buffer”, come si dice) vuota ai confini di
    Israele?

    Il problema del Libano
    Un’altra questione importante riguarda il Libano. Parlando
    ai sindaci e ai leader municipali del nord, il ministro della Difesa israeliano
    Yoav Gallant ha detto mercoledì che il governo non incoraggerà i circa 80.000
    residenti evacuati dalle comunità settentrionali vicino al confine libanese a
    tornare a casa, prima che Hezbollah venga respinto oltre il fiume Litani, nel
    sud del Libano, come previsto dalla risoluzione Onu 1701. Il timore persistente
    delle comunità del nord è di correre ancora il serio rischio di attacchi
    missilistici e soprattutto di incursioni in stile 7 ottobre da parte di
    Hezbollah. Ciò implica la possibilità di una seconda operazione al Nord, se non
    intervengono fattori che rafforzino il ruolo della forza di interposizione
    internazionale Unifil e eliminino il dominio terrorista sulla zona di confine
    con Israele.  Il quotidiano Al-Akhbar,
    affiliato a Hezbollah, ha scritto che Stati Uniti, Francia, Emirati Arabi Uniti
    e Arabia Saudita stanno conducendo una campagna per chiedere l’attuazione delle
    risoluzioni delle Nazioni Unite e il rafforzamento della presa delle forze
    UNIFIL nel Libano meridionale (con l’obiettivo di prevenire una guerra tra
    Israele e Hezbollah). L’altro quotidiano libanese Nida Al-Watan sostiene che la
    Francia sta portando avanti “azioni preparatorie” in vista di
    un’altra prossima visita dell’inviato americano Amos Hochstein a Beirut con
    l’obiettivo di raggiungere un accordo: “Il ritiro di Hezbollah dal Libano
    meridionale in cambio del ritiro di Israele dalle fattorie Sheba’a, Kfarchouba
    e il villaggio di Ghajar.” Ma quest’idea di un ritiro di Israele dalle
    zone che il Libano pretende siano sue, contrariamente agli accordi armistiziali
    stabiliti nel 1948, difficilmente potrebbe essere realizzato, anche se questi
    territori sono molto piccoli e militarmente non significativi, sia perché vi
    sono cittadini israeliani che vi abitano, sia perché consentirebbe a Hezbollah
    un impatto propagandistico inaccettabile e incoraggerebbe nuove azioni contro
    Israele, per esempio sul Golan.

     

     

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