La situazione a Gaza
Il lavoro dell’esercito israeliano per
l’eliminazione dei terroristi da Gaza procede in maniera progressiva e metodica. Ieri i primi carri armati sono
entrati nella principale località del sudest della striscia, la città di Khan
Yunis. La popolazione della città e i rifugiati già obbligati ad abbandonare le
loro case nella parte settentrionale della Striscia erano stati preventivamente
avvertiti e indirizzati al punto sicuro dell’estremità sud-occidentale del
territorio di Gaza, fra il mare e il valico di Rafah con l’Egitto. Questa zona
è diventata una grande tendopoli, assistita da ospedali da campo e rifornimenti
internazionali, che vengono spesso assaltati da folle fuori controllo. Le
strutture di governo di Gaza sono collassate, ma i terroristi non si
interessano della popolazione, non danno rifugio ai civili nelle loro gallerie,
non li assistono in alcun modo e anzi cercano di prendere per loro tutte le
risorse che arrivano.
La caccia ai terroristi
Non vi sono per il momento grandi scontri frontali,
perché Hamas non vuole esporre le sue truppe alla sicura distruzione che
arriverebbe da un tentativo di uscire in superficie e opporsi frontalmente
all’esercito israeliano e d’altro canto la strategia israeliana è di non
mettere a rischio i soldati nei tunnel pieni di trappole esplosive e di punti
predisposti per gli agguati. I terroristi quando possono emergono dai loro
pozzi per cercare di cogliere alla spalle i soldati, spesso confondendosi con i
civili e senza portare uniformi. I soldati dirigono colpi di artiglieria e
bombardamenti aerei dove hanno capito che vi sono i terroristi e lavorano per
distruggere le gallerie, o almeno i pozzi che vi danno accesso. Ne sono stati
scoperti finora circa ottocento, di cui cinquecento già distrutti. Questa
caccia a un nemico che fugge, si nasconde, si muove sottoterra anche per lunghi
tratti e poi riemerge per cercare di colpire alle spalle si svolge anche in
territori da tempo occupati da Israele, nel nord della Striscia: è impossibile
dire che un terreno è del tutto sgombero da minacce e il pericolo può venire da
ogni casa, da ogni cespuglio. E in effetti ogni giorno qualche soldato cade in
combattimento. Che Hamas sia ancora organizzato e capace di combattere si vede
anche dai tiri di missili sulle città israeliane, che non sono cessati dalla
ripresa dei combattimenti venerdì.
Gli altri fronti
Si è acceso di nuovo il fronte del nord con Libano e
Siria. Da qui ieri sono partiti di nuovo dei razzi anticarro che hanno colpito
due automobili, ferendo otto persone. A questo attacco, come a tutti gli altri,
è seguita una reazione dell’artiglieria israeliana, che ha colpito la fonte del
fuoco e anche alcuni attacchi dell’aviazione che hanno pesantemente bombardato
alcuni villaggi libanesi dove sono asserragliati i terroristi. Per il momento
si tratta di conflitti a bassa intensità, che però potrebbero crescere di
improvviso in una situazione di guerra vera e propria se l’Iran lo ordinasse.
Un terzo dell’esercito israeliano, compresi i riservisti, è schierato in
Galilea, per poter rispondere efficacemente a un’eventualità del genere. Un
altro fronte è quello marittimo, dove gli Houti dello Yemen hanno assalito con
razzi due navi che passavano nello stretto di Bāb el-Mandeb che chiude il Mar Rosso dando accesso
all’Oceano Indiano e dunque al traffico dall’Europa e il Nordamerica verso
l’India, la Cina e il Giappone. Fonti israeliane hanno dichiarato che queste
due navi non hanno nulla a che fare con Israele, anche perché per evitare il
rischio degli Houti la flotta commerciale israeliana in commercio con l’Oriente
dall’inizio della guerra evita la scorciatoia del canale di Suez e prende la
via della circumnavigazione dell’Africa, benché ciò implichi alcune settimane
di ritardo e un costo maggiore.
Giudea e Samaria
Dopo l’attacco a Gerusalemme che ha provocato
quattro morti israeliani (uno vittima del fuoco amico di un soldato, su cui è
in corso un’inchiesta), le forze di sicurezza israeliane continuano a cercare
di prevenire il terrorismo radicato in molte città e villaggi di Giudea e Samaria,
che ricadono sotto l’amministrazione dell’Autorità Palestinese. Nella notte vi
è stata una perquisizione nella città di Qalqilya, distante appena una dozzina di chilometri dai sobborghi
settentrionali di Tel Aviv. Negli scontri che sono seguiti sono stati eliminati
due terroristi. Anche grazie all’intensa attività di prevenzione, comunque, non
vi è stata finora quella sollevazione generale che i terroristi speravano. In
particolare c’è calma fra gli arabi israeliani e addirittura vi è stato
l’invito ai terroristi a deporre le armi da parte di Mansur Abbas, parlamentare
presso la Knesset dal 2019 e leader del partito arabo-israeliano Lista Araba
Unita, che aveva partecipato al governo Bennett due anni fa. La dichiarazione è
stata criticata dalla fonti dell’Autorità Palestinese, tutte schierate a favore
di Hamas, e subito annacquata, ma resta interessante. Anche perché Hamas il 7
ottobre ha ucciso e rapito anche alcuni beduini, arabi israeliani della parte
meridionale del paese, suscitando rabbia e minacce di vendetta tribale.