L’accordo sospeso da Hamas e poi rimesso in vigore
C’è stato un momento di preoccupazione, di dolore e
di rabbia in Israele ieri nel tardo pomeriggio, quando al tramonto “l’ala
militare di Hamas” ha annunciato di sospendere a tempo indeterminato la
consegna concordata dei 13 rapiti, seconda tappa dell’accordo di tregua, usando
esili pretesti: Israele non avrebbe fatto arrivare il numero giusto di camion
di rifornimenti alla parte settentrionale di Gaza sotto il suo controllo e
avrebbe liberato i terroristi detenuti nell’elenco concordato usando un ordine diverso
di priorità. Il governo israeliano ha annunciato allora che se la consegna non
fosse avvenuta entro la giornata di sabato, cioè entro mezzanotte, avrebbe
ripreso immediatamente i combattimenti. Per riportare al rispetto dell’accordo
i capi locali di Hamas sono intervenuti allora l’Egitto, che garantisce lo
scambio sul suo territorio, e perfino il Qatar, che si è assunto il ruolo di
mediatore, avendo anche la rappresentanza dell’Iran, di cui è stretto alleato,
e dei capi all’estero di Hamas, che vivono nel suo territorio: entrambi hanno
fatto pressione finché è stato annunciato che lo scambio sarebbe avvenuto
comunque entro la serata. È chiaro che si è trattato di un tentativo dei
terroristi di giocare con le emozioni degli israeliani per rilanciare la posta,
come spesso tentano di fare in queste difficili negoziazioni. Ma sono stati
sconfitti anche perché tutta Israele vuole certamente liberare i rapiti, sente
la loro assenza come un dolore personale; ma è chiaro a tutti che questo è un
accordo parziale, che bisogna liberare tutti i rapiti e non solo questi
cinquanta e soprattutto che lo scopo della guerra è impedire che il 7 ottobre
si ripeta, come si propongono i terroristi. Dunque l’obiettivo è l’eliminazione
completa di Hamas e la tregua è un prezzo per Israele ma una necessità per i
terroristi per cercare di sottrarsi al loro destino con la fuga o suscitando
pressioni internazionali che fermino
l’offensiva israeliana anche dopo il periodo concordato e magari conservino
loro il controllo di Gaza. Dunque l’interruzione precoce della tregua sarebbe
stata contraria ai loro interessi vitali, un colpo grave che si sarebbero fatti
da soli. E alla fine, in tarda serata,
hanno liberato tredici rapiti.
La seconda liberazione
Ecco l’elenco degli israeliani liberati ieri: Hila
Shosani Rotem ed Emily Hand, rapite a Be’eri: Emily era fra le persone di cui
si temeva fossero state uccise; la loro madre Raya Rotem avrebbe dovuto tornare
con loro ma è rimasta prigioniera. Alma e Noam Or, rapiti dal Kibbutz Be’eri: il
padre Dror è rimasto prigioniero. La loro madre, Yonat, è stata assassinata.
Miya Regev, 21 anni, di Herzliya, è la prima delle persone rapite durante il
festival della natura Re’im ad essere liberata. È stata rapita insieme a suo
fratello Itay, che ha meno di 19 anni e dovrebbe dunque essere compreso nella
categoria dei minori ed entrare nella lista dei liberati, dato che l’accordo
prevede che le famiglie non debbano essere divise. Essendo Miya in gravi
condizioni di salute, Israele ha dovuto rinunciare a esigere che venisse
liberata solo col fratello. Ora è ricoverata all’ospedale Soroka di Beer Sheva,
uno dei centri di eccellenza della medicina israeliana. Sharon Avigdori e sua
figlia Noam del Kibbutz Be’eri. Noga Weiss (18 anni) e sua madre Shiri, rapite
dalla loro casa a Be’eri: esse sono state rilasciate, ma il padre Ilan, un
membro della squadra di emergenza del kibbutz che ha lasciato la casa al
momento dell’attacco per difendere la comunità, risulta ancora disperso.
Shoshan Haran, 67 anni, di Be’eri, è stato prigioniero di Hamas per 50 giorni.
Oggi è stata finalmente rilasciata, insieme ad altri cinque membri della sua
famiglia: sua figlia Adi Shoham (38 anni); i suoi nipoti Yahel (3 anni) e Neve
(8 anni); sua cognata Sharon Avigdori; e la figlia di Sharon, Noam. Tal, il
marito di Adi e padre di Yahal e Neve, è ancora in prigionia. Accanto agli
israeliani sono stati liberati senza contropartita dieci lavoratori
thailandesi. Israele si assumerà le loro cure e assegnerà loro gli stessi aiuti
che vengono dati ai cittadini. In cambio dei rapiti, durante la notte sono
stati scarcerati 39 terroristi sotto i 19 anni di età o donne, condannati per
reati anche gravi di terrorismo, con l’esclusione dell’omicidio. Diversi di
loro sono tornati alle loro case in Giudea e Samaria e nei sobborghi orientali
di Gerusalemme e hanno usato la loro liberazione per fare propaganda
terrorista.
I fronti aperti
Nonostante il tentativo di Hamas di forzare una
rinegoziazione dell’accordo, il fronte di Gaza è stato tranquillo anche per la
giornata di ieri e così sostanzialmente quello settentrionale con Hezbollah. Vi
è stata però un’operazione di polizia a Jenin, con perquisizioni negli ospedali
(i cui sotterranei, come si sa, sono la collocazione prediletta per Hamas di
depositi d’armi, centri comando e posti di combattimento) che ha portato a
parecchi arresti e all’eliminazione di quattro terroristi che hanno provato a
opporsi all’azione delle forze di sicurezza. È ancora attivo il fronte
yemenita. Da lì sono partiti ieri diversi tentativi di bombardamento di Eilat
con droni e missili da crociera. Gli Houti hanno anche attaccato nel Mar Rosso
con un drone una nave portacontainer di bandiera maltese ma la cui proprietà è
attribuita almeno in parte a un industriale israeliano, provocandovi un
incendio. È il secondo caso di pirateria per opera del gruppo terrorista dello
Yemen, dopo la nave delle Barbados diretta in Giappone, sequestrata nei giorni
scorsi, per cui lo stesso governo giapponese ha chiesto assistenza
internazionale, dato che continua a essere detenuta dai pirati yemeniti. Ci si
chiede come mai le flotte internazionali antipirateria che stazionano in quelle
acque da anni per garantire la libertà di navigazione dai pirati somali (che
hanno agito per parecchi anni, per ragioni di guadagno e non politiche) non
intervengano di fronte a una minaccia così grave per una delle più importanti
vie commerciali del mondo.