Rinvio
L’inizio della tregua per la liberazione di cinquanta
bambini e donne rapite, che era stato annunciato da Hamas (ma non da Israele)
per oggi alle 10 di mattina (ora di Israele, in Italia erano le 9), è stato
rinviato, forse a domani venerdì. Il rinvio è stato deciso perché Hamas non ha
firmato il protocollo con gli accordi dettagliati sulla liberazione e
soprattutto non ha voluto o non è stato in grado di fornire i dettagli sullo
stato di alcuni dei rapiti da liberare – dettagli per nulla secondari come lo stato
in vita e la condizione fisica. L’esperienza di altre tregue con Hamas
suggerisce il fondato sospetto di trucchi nella realizzazione dell’accordo e
Israele vuole essere ben sicuro di ottenere quel che ha negoziato, inclusa la
clausola per cui i rapiti non liberati siano visitati dalla Croce Rossa. Ci
sono le prove di diverse esecuzioni di “ostaggi” da parte dei terroristi,
magari con il pretesto che essi sarebbero stati colpiti dai bombardamenti
israeliani. Fino a che non ci saranno le garanzie necessarie, la tregua non
sarà messa in opera.
I combattimenti
Nel frattempo Israele ha attaccato con forza le
concentrazioni terroriste individuate, tanto ciò che resta nella parte
settentrionale della Striscia, dove agisce la fanteria, penetrando nei pozzi di
accesso dei tunnel e facendoli saltare, quanto nella parte sudorientale, in
particolare Khan Yunis, dove sono in corso intensi bombardamenti aerei.
Prosegue anche l’azione nell’ospedale di Shifa, dove si è dimostrata la
presenza di terroristi travestiti da personale medico e le forze israeliane
hanno arrestato per complicità il direttore dell’ospedale. Un certo numero di
giornalisti internazionali è stato ammesso a vedere di persona l’inizio del
labirinto delle gallerie segrete dove Hamas aveva centri di comando, depositi
d’armi e rifugi per i suoi miliziani. Proseguono anche i combattimenti sugli
altri fronti. Con Hezbollah al confine libanese vi sono stati nuovi episodi di
tiri di razzi anticarro e di missili più potenti contro gli avamposti
israeliani, cui Israele ha risposto con l’artiglieria; in Siria è intervenuta
l’aviazione.
La situazione in Giudea e Samaria
Altri arresti e smantellamenti di gruppi terroristici sono
avvenuti in Giudea e Samaria, in particolare a Jenin e a Tulkarem, dove un
gruppo terrorista già in azione è stato distrutto con un’incursione di droni.
Questa è una cittadina araba che sta proprio sulla linea di delimitazione del
territorio amministrato dall’Autorità Palestinese a una dozzina di chilometri
da Netanya – il che dovrebbe far riflettere a come sia impossibile ogni
discorso sui due stati prima dell’eradicazione completa del terrorismo. È
chiaro che l’Autorità Palestinese non ha la capacità, ma in sostanza non ha la
volontà di bloccare i terroristi. E l’esperienza del 7 ottobre mostra che non
vi sono muri o barriere di protezione che tengano di fronte a un’azione
militare vera e propria da parte delle organizzazioni terroristiche. Già girano
immagini propagandistiche di Hamas che mostrano l’abbattimento della barriera
costruita sulla Linea Verde per difendere la parte centrale di Israele. Solo la
capacità, militare, ma anche politica e giuridica delle forze armate israeliane
di intervenire tempestivamente per distruggere le aggregazioni terroristiche,
in Giudea e Samaria come a Gaza, può garantire la tranquillità del paese.
La guerra continuerà dopo la tregua?
In questo senso si possono leggere alcune dichiarazioni che
parlano della ripresa della guerra dopo il periodo concordato di tregua, fino
alla distruzione completa delle organizzazioni terroristiche a Gaza. Lo ha
promesso ripetutamente il primo ministro Netanyahu annunciando il cessate il
fuoco, lo ha ripetuto oggi il capo di stato maggiore Herzi Halevi oggi in un
discorso tenuto ai comandanti dei battaglioni impiegati a Gaza: “Stiamo
cercando di collegare gli obiettivi della guerra, in modo che la pressione
dell’operazione di terra porti alla possibilità di raggiungere anche
l’obiettivo di questa guerra, cioè creare le condizioni per la liberazione
degli ostaggi rapiti. Non porremo fine alla guerra. Continueremo finché non
saremo vittoriosi, andando avanti e continuando in altre aree di Hamas. Sono
molto orgoglioso di voi, state facendo un lavoro eccezionale”. Il problema
sarà l’atteggiamento della comunità internazionale: è evidente che vi saranno
forti pressioni per concludere del tutto l’operazione, assegnando così la
vittoria a Hamas. Ma del problema si rende conto anche l’amministrazione
americana, che è il partner fondamentale di Israele. Il portavoce del Consiglio
di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha parlato mercoledì con
i leader della comunità ebraica americana e ha affermato che gli Stati Uniti
prevedono che la guerra tra Israele e Hamas continuerà dopo la scadenza della
tregua […] “La lotta non è finita. La guerra non è finita. La minaccia posta
da Hamas è ancora reale e minaccia la vita del popolo israeliano”, ha detto
Kirby ai leader ebrei. Gli Stati Uniti, ha aggiunto, “continueranno a garantire
a Israele gli strumenti, le capacità e i sistemi d’arma di cui hanno bisogno
per continuare a colpire Hamas”.