Hamas non è più padrone di Gaza
Israele è ormai entrato nei luoghi simbolici del potere a
Gaza. Ci sono foto che ritraggono i soldati della divisione di fanteria
d’eccellenza Golani nella sede del comitato legislativo dove i capi di Hamas
tenevano le loro riunioni pubbliche; altri sono entrati nella sede del
governatore della città; i carri armati stazionano sulla “piazza del milite
ignoto”, dove si tenevano le manifestazioni di massa del terrorismo. Buona
parte della popolazione della città è sfollata verso il sud della Striscia ed è
in difficoltà per le piogge abbondanti. Ci sono stati scontri fra la folla che
cercava di ottenere il cibo dei soccorsi e i miliziani di Hamas che cercavano
di sottrarglieli e impadronirsene. Sono stati anche riferiti saccheggi delle
sedi dei movimenti terroristi e altri luoghi del potere di Gaza. Il problema è
che tutti i paesi che esprimono solidarietà per i palestinesi non vogliono
affatto accogliere i fuggitivi. Non intende farlo l’Egitto, che dall’inizio
delle operazioni ha chiuso il valico di Rafah, lasciando passare solo in certi
momenti i feriti e gli abitanti forniti di passaporto straniero. Esclude l’accoglienza
anche l’altro paese che confina con Israele, dove sarebbe possibile portare
facilmente i rifugiati, la Giordania, che ha parlato della possibilità che essi
arrivino sul suo territorio come di una “linea rossa”. Nessuno fra gli stati
arabi e musulmani che hanno fatto l’altro ieri grandi discorsi sul loro
appoggio a Gaza ha offerto ospitalità. Questa situazione è un problema ora e lo
sarà ancor di più in futuro, perché in mezzo alle famiglie normali vi sono
terroristi e una maggioranza di loro sostenitori, che rendono pericolose queste
folle.
La battaglia degli ospedali
Seppure i punti strategici del suolo di Gaza sono in mano ai
soldati israeliani, la guerra non è affatto finita. I terroristi sono ancora in
grado di sparare grosse salve di missili su Israele come hanno fatto anche ieri
sulla zona centrale del paese, colpendo anche direttamente una casa a Petah
Tikvah. La fase molto delicata che è in corso ora è una battaglia sugli
ospedali, dove è sempre più chiaro che i terroristi avevano stabilito i loro
centri logistici, di comando, e perfino di prigionia. Il portavoce
dell’esercito israeliano ha mostrato alla stampa le prove del fatto che
nell’ospedale pediatrico Rantisi erano detenuti dei rapiti fra cui bambini: una
motocicletta con la fascia di uno dei rapiti, biberon, corde con cui i rapiti
erano legati alle sedie. Vi sono anche foto che mostrano nello stesso ospedale
un luogo di tortura, fra cui una sedia attrezzata a questo scopo. Nell’ospedale Shifa è emersa una sala
riunioni dei terroristi; dallo stesso ospedale è uscita ieri una squadra di
terroristi che ha ingaggiato uno scontro a fuoco coi militari israeliani. Le
forze israeliane si trovano a dover conquistare questi ospedali, che sono anche
caserme e prigioni, cercando di non danneggiare i malati. C’è stato per esempio
un trasferimento di incubatori da Israele a Gaza per utilizzarli a favore dei
neonati di Gaza. La propaganda antisraeliana tratta questa battaglia degli
ospedali come un esempio di crudeltà. Ma in effetti crudele e criminale secondo
la legge internazionale è usare gli ospedali come istallazioni militari; il
fatto che lo siano li rende obiettivi legittimi dell’azione bellica. Israele
non vuole coinvolgere i malati, si dà da fare per aiutarne lo sfollamento; ma
deve entrare in questi complessi che ancora nascondono sottoterra le principali
istallazioni terroriste.
La trattativa sugli ostaggi
Questa guerra, come ho spesso detto, è anche una corsa
contro il tempo. Israele deve smantellare l’apparato terrorista prima che le
crescenti pressioni internazionali lo mettano in difficoltà. E i terroristi
cercano di comprare tempo con gli ostaggi. Ieri è emersa l’offerta di liberare
50 bambini rapiti in cambio della scarcerazione di donne arrestate e condannate
e soprattutto di una pausa di cinque giorni nell’offensiva israeliana. Israele
ha rifiutato, consapevole che una pausa del genere probabilmente significherebbe
la fine della campagna. Oggi è chiaro che la liberazione degli ostaggi si può
ottenere solamente aumentando la pressione su Hamas e non sospendendola. Le
trattative comunque continuano in maniera riservata, probabilmente attraverso
il Qatar.
Gli scontri al confine settentrionale
Sono continuati e aumentati anche i combattimenti al confine
settentrionale con Hezbollah, che si basano sul concetto di rappresaglia: Hamas
attacca postazioni militari ma anche case civili di Israele soprattutto con
razzi anticarro, provocando anche delle vittime. Israele risponde al fuoco con
l’artiglieria e gli aerei, anche in profondità (ieri si sono visti bombardieri
israeliani sopra Beirut). Hezbollah si vendica sparando di nuovo verso Israele
e il ciclo continua, aumentando di intensità e di ritmo. Ci si chiede se non
possa partire anche una battaglia in quella zona per eliminare la minaccia che
incombe sui villaggi della Galilea, ormai sotto tiro da un mese. Un’operazione
come quella del 7 ottobre ripetuta al Nord avrebbe effetti ancora più
devastanti, perché Hezbollah è assai più forte di Hamas e ha la geografia in
suo favore, partendo dalle alture. Ma è chiaro che uno scontro del genere
rischierebbe di provocare una guerra regionale.