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    Jonathan Chatzor, militare di origine romana, è caduto combattendo nella Striscia di Gaza

    Tra i soldati che Israele piange in queste ore tra
    coloro che hanno perso la vita combattendo a Gaza contro Hamas c’è anche un
    ragazzo di origine romana, Jonathan Chatzor, 22 anni, sergente che prestava
    servizio nell’unità d’élite Shaldag dell’aeronautica militare israeliana. La
    cugina Ruty Klein ricorda sui social che Jonathan è stato «un bambino dagli
    occhi bellissimi, silenzioso e timido. Dentro aveva un mondo tempestoso, era
    una danza infinita tra dolcezza e ruvidità, tra quiete e tempesta».

    Non era solo un soldato, ma un sognatore, un
    creativo, un artista che amava dipingere. Brillava in tutto ciò che faceva.
    Aveva frequentato il liceo artistico presso il quale si è diplomato con il
    massimo dei voti. I suoi insegnanti ricordano che aveva un’ottima mano, una
    grande passione ed era in grado di creare opere che trasmettevano profonde
    emozioni. Era anche uno sportivo, campione di karate e amava viaggiare.

    Era proprio in viaggio con alcuni amici quando il 7
    ottobre i terroristi di Hamas portarono avanti il barbarico piano di
    assassinare, stuprare, mutilare e rapire migliaia di israeliani, donne, uomini,
    anziani, bambini e neonati. Quel giorno Jonathan si trovava in Sri Lanka. Una
    vacanza all’insegna del divertimento e della scoperta di una terra lontana. Sua
    cugina Ruty ricorda commossa sui social che durante il viaggio Jonathan le
    aveva mandato alcune fotografie, scrivendole di non aver mai visto paesaggi
    così meravigliosi.

    Gli ultimi paesaggi in cui si è potuto immergere di
    un mondo lontano che ha dovuto lasciare all’improvviso, interrompendo in
    anticipo il viaggio per tornare in Israele e combattere per la difesa del suo
    Paese.

    La sua foto sorridente in divisa ha commosso il
    mondo dopo la sua tragica morte avvenuta martedì, nel nord della Striscia di
    Gaza, portando a 36 il bilancio dei soldati caduti dall’inizio dell’operazione
    di terra.

    Jonathan viveva nella comunità di Katzir, nel nord
    di Israele. Lascia il padre Avner, la madre Daphne, e la sorella Ailey. Era il
    più giovane tra i suoi cugini. Le sue radici romane risalgono alla bisnonna
    Celeste Terracina, che fece l’alyah nel 1939, a soli 15 anni, arrivando prima
    della fondazione dello Stato di Israele. In Italia, il ragazzo aveva ancora
    tanti famigliari, profondamente colpiti dalla dolorosa notizia della sua
    prematura scomparsa.

    Massimo Misano, ex consigliere della Comunità
    ebraica di Roma, è un parente del ragazzo, cugino primo della nonna. Misano ha
    anche la cittadinanza israeliana e mentre parla a Shalom si interrompe,
    preoccupato per le notifiche che riceve sul cellulare. Si tratta dell’allarme
    delle sirene che avvertono l’avvenuto lancio di missili di Hamas in Israele.
    «Sa» spiega «stanno lanciando missili. Devo seguire per forza gli allarmi
    perché ho altri parenti in Israele».

    Ripensa al nipote, ricordandolo ancora adolescente,
    quando a 13 anni festeggiò il suo bar-mitzvà. Lo ha incontrato l’estate scorsa:
    «A giugno sono andato in Israele per un matrimonio e ho visto per l’ultima
    volta Jonathan quando sono andato a trovare Ahma che Naomi, la nonna di Jonathan».

    Misano ha sentito l’abbraccio ideale di tutta la
    comunità ebraica romana e italiana che negli ultimi giorni si è stretta intorno
    alla famiglia. Sono tanti i messaggi di cordoglio, pubblicati soprattutto sui
    social che parlano di Jonathan come “un nostro fratello caduto in difesa
    d’Israele”.

    È morto combattendo insieme ad altri giovani
    israeliani, vite interrotte prematuramente di chi con coraggio affronta il
    pericolo della guerra. Ruty, sua cugina, scrive con sconforto che la loro
    famiglia non sarà più la stessa senza Jonathan, che, come Ruty, combatteva per
    una società migliore. Su X, anche l’IDF ha espresso profondo cordoglio per la
    scomparsa del ragazzo, sottolineando che «ha sacrificato la sua vita difendendo
    il popolo di Israele e lottando per salvare innocenti civili israeliani tenuti
    prigionieri da Hamas».

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