La situazione di Gaza prima della guerra
Vale la pena di ripetere un dato su quel che succede in
Israele e dintorni, che sempre è ignorato dalla propaganda “pacifista”: non si
tratta di un’operazione di Israele, ma di una guerra. Le guerre cominciano di
solito da una parte sola e vanno avanti con scambi fra le due parti, fino a che
una cede e smette. Così è stato per questo conflitto. Esso è nato in una
situazione di calma abbastanza buona, in relazione alle abitudini della
regione. Israele lasciava passare dal valico con Gaza tutte le merci che servivano
alla popolazione, perfino quelle di cui si sapeva che avessero un possibile uso
“doppio” (civile e militare), come i tubi metallici per l’acqua che Hamas ha
trasformato poi spesso in razzi; permetteva che il Qatar passasse
all’amministrazione di Gaza (cioè a Hamas) molti milioni di dollari ogni mese,
trasportati in contanti dai suoi inviati; ammetteva migliaia di lavoratori ogni
giorno a lavorare in Israele. Di recente su proposta del comando militare
incaricato dell’amministrazione dei palestinesi, questi permessi di lavoro ai
frontalieri erano cresciuti fino a quasi ventimila ingressi al giorno (e oggi
ci si chiede tristemente quanti di essi fossero terroristi che in questa
maniera potevano ispezionare il territorio, una conoscenza che poi sarebbe
stata sfruttata per la strage). C’erano ogni tanto manifestazioni sotto la
barriera di sicurezza: i responsabili della sicurezza israeliana pensavano che
fossero gesti simbolici per mantenere la presa sugli “estremisti” e invece
erano prove e preparativi per l’invasione. Insomma, non c’era scontro, a Gaza i
beni anche di lusso non mancavano, c’erano alberghi a quattro stelle, saloni
con automobili costosissime, iPhone dell’ultima generazione, mercati riforniti
con cibi raffinati. C’erano anche poveri, naturalmente, ma non mancava una
classe media e soprattutto un certo numero di super-ricchi, di solito
appartenenti alla dirigenza di Hamas o a essa vicini. Tutt’altro che una
“prigione a cielo aperto”, come ripetono i pappagalli della propaganda
anti-israeliana; anche perché era aperta la frontiera con l’Egitto. L’idea di
Israele era che fosse bene far crescere questo benessere, che avrebbe convinto
la gente sui vantaggi della convivenza.
La guerra nei cieli
Invece il 7 ottobre, senza pretesti, di sorpresa, i
terroristi hanno iniziato una guerra, mandando 3000 terroristi a compiere la
strage di civili israeliani e sparando migliaia di missili su Israele. Israele
ha risposto, ha respinto i terroristi, ha iniziato a smantellare con i
bombardamenti aerei le strutture di Hamas, infine è entrato a Gaza. Questa è
una guerra provocata da Hamas (e dei suoi soci, da non dimenticare mai: Jihad
Islamica e Brigate dei Martiri di Al Aqsa, affiliata a Fatah). È importante considerare
che il conflitto ha continuato e continua a essere una guerra che ha due lati
(anzi quattro o cinque, perché bisogna considerare gli alleati di Hamas in
Libano, Siria, Yemen e in Giudea e Samaria, che sono intervenuti nel
conflitto). Infatti ancora i terroristi sparano su Israele, non solo dentro
Gaza, dove essi ogni giorno attaccano in forze i soldati israeliani quando
possono, ma pure sullo stesso territorio israeliano. Anche ieri ci sono stati
dei lanci di missili da Gaza diretti a Tel Aviv e dintorni, che per fortuna per
lo più sono finiti in mare; altri missili continuano ad arrivare dal nord e dal
nord-est in quantità crescenti, e perfino dallo Yemen, a 1600 chilometri di
distanza. Si calcola che ci siano stati finora circa 10.000 missili lanciati su
Israele, ciascuno con un carico esplosivo capace di distruggere una casa e di
uccidere decine di persone. La guerra missilistica, tutta diretta a obiettivi
civili, sulle città e non sulle basi militari (il che è un crimine di guerra)
non ha provocato le terribili stragi cui mirava solo perché Israele ha
investito moltissimo sulla difesa contro questi attacchi: quasi ogni casa,
asilo, scuola, ufficio ha un rifugio o almeno una stanza blindata in cui gli
abitanti minacciati possono rifugiarsi. E soprattutto c’è una difesa di missili
antimissile in tre strati: la “Cupola di Ferro” per i lanci da vicino, che in
questa guerra ha ottenuto circa l’88% di abbattimenti fra missili e droni; la
“Fionda di Davide” per missili di portata intermedia (intorno alle centinaia di
chilometri) che ha eliminato tutte le 60 minacce di questo tipo (100% di
successi) e “Freccia 7” per i missili balistici, sperimentata per prima volta,
che ha fatto esplodere fuori
dall’atmosfera entrambi i missili di portata intercontinentale lanciati dallo
Yemen, in quella che è forse la prima battaglia spaziale della storia. Contro i
missili da crociera dello Yemen (un proiettile che viaggia piuttosto lentamente
ma su lunghe distanze, anche raso al suolo e con capacità di manovra diversiva),
sono intervenuti con successo gli aerei F35. Anche questa è una novità
assoluta.
L’operazione di terra
Nel frattempo continua l’operazione di terra, che serve a
distruggere l’apparato di Hamas e degli altri gruppi, ma mira anche a impedire
i lanci di razzi, che continuano, distruggendo i lanciarazzi che sono stati
trovati anche dentro scuole e moschee, sotto parchi giochi e nelle case. Ma uno
scopo importantissimo dell’offensiva di terra è la liberazione degli ostaggi,
di cui purtroppo non si hanno notizie. Sarebbe sbagliato contrapporre questi
obiettivi. I terroristi come insegna il caso Shalit, non liberano
spontaneamente le persone che hanno rapito, ma cercano di farne oggetto di un
infame commercio. Solo la pressione militare può salvare gli ostaggi.