La
dichiarazione di guerra degli Houti
La notizia più significativa dell’ultima giornata in
termini strategici è la vera e propria dichiarazione di guerra che il portavoce
del movimento terrorista yemenita degli Houti, Yahya Sarie, ha pronunciato
contro Israele, accompagnata dal lancio di un certo numero di missili. Houti è
il nome di una tribù in Yemen che è la base del movimento terrorista, il cui
vero nome in realtà è “Ansar Allah”. Bisogna sapere in primo luogo che lo Yemen
dista da Israele circa 1600 chilometri, come la Finlandia da Roma, e dunque non
vi è ovviamente contenzioso territoriale fra i due Paesi e non vi può essere
minaccia da terra (in mezzo c’è l’Arabia Saudita). Ma lo Yemen è un punto
strategico non solo per Israele, bensì per l’Egitto e l’Europa, perché
controlla lo stretto di Bab el Mandeb, con una larghezza utilizzabile di solo
una ventina di chilometri, che consente l’accesso al Mar Rosso e di qui al
Canale di Suez. L’altro lato è Gibuti. Tutti i rifornimenti petroliferi e le
merci provenienti dall’Estremo Oriente passano con centinaia di navi ogni
giorno da queste acque che possono facilmente essere minacciate e bloccate. Lo
Yemen ha sofferto per decenni di divisioni e guerre civili. Negli ultimi dieci
anni circa il potere è stato preso dal movimento islamista degli Houti, con
l’appoggio determinante dell’Iran. Esso ha sviluppato un esercito piuttosto
forte e anche un’industria bellica. Ha fatto guerra all’Arabia Saudita,
mettendola in difficoltà con lanci di razzi e droni sulla città di Ryad e sui
più importanti pozzi petroliferi. Poi c’è stata una tregua che ha tenuto fino a
qualche giorno fa, quando gli Houti hanno di nuovo aggredito l’esercito arabo
alla frontiera, provocando alcuni morti.
Una maldestra
mossa iraniana
Ora Ansar Allah minaccia Israele e insieme l’Arabia
coi suoi missili. Qualche giorno fa alcuni di questi proiettili sono stati
abbattuti da navi americane nel Mar Rosso, dall’Arabia e dall’Egitto; i missili
di ieri sono stati fermati dai sistemi israeliani. Israele ha anche spostato
alcune unità navali con capacità missilistica nel Mar Rosso; minaccia implicita
di una rappresaglia che potrebbe essere anche sostenuta dall’aviazione. La
mossa degli Houti apre il quinto fronte di guerra dopo Gaza, Libano, Siria,
Cisgiordania. È evidentemente una mossa iraniana che prova a mettere in
difficoltà Israele e anche a dare l’impressione di una solidarietà bellica
fattiva con Hamas che i terroristi si attendevano e che finora è per fortuna
mancata: l’Iran stesso ha dichiarato ieri di non voler farsi coinvolgere in
scontri diretti fuori dai suoi confini, per cui fida nei suoi “alleati”, mentre
le sue forze armate si concentrano sulla difesa del territorio nazionale. Ma è
probabilmente una mossa maldestra, perché essa ha rafforzato l’asse difensivo
fra Israele, Arabia e Egitto, che è il grande incubo strategico dell’Iran, e ha
anche esposto che la pericolosità del terrorismo non si limita a Israele, ma
colpisce molti paesi fra cui l’Europa.
La situazione
a Gaza
L’aviazione israeliana annuncia di aver colpito
finora oltre undicimila obiettivi terroristi. L’operazione di terra procede.
Oltre alla manovra per tagliare Gaza City dalla parte settentrionale della
Striscia, è in corso un analogo “taglio” di Gaza a sud della città: tre diversi
territori dovrebbero essere isolati e progressivamente attaccati dall’esercito
israeliano, in modo da eliminare completamente Hamas. Le operazioni urbane sono
in corso soprattutto al nord, dove le forze di Israele hanno iniziato a
conquistare le roccaforti terroriste. Purtroppo questa fase della guerra è la
più difficile e sanguinosa anche per i soldati israeliani. Sono stati
annunciati ieri prima due, poi altre nove caduti e molti feriti. Con la
mediazione del Qatar e l’assenso di Israele l’Egitto ha evacuato nell’ospedale
da campo costruito dalla sua parte del valico di Rafah un centinaio di feriti
civili palestinesi. Nel frattempo però è stato annunciato che Hamas ha bloccato
anche l’uscita dalla Striscia degli arabi con doppia cittadinanza (molti
americani, ma parecchi anche con altri passaporti, fra cui una decina di
italiani). Non sono prigionieri rapiti come gli israeliani (secondo gli ultimi
calcoli 240) sequestrati il 7 ottobre, ma anche loro, in un certo senso, sono
ostaggi. Hamas e gli altri movimenti islamisti considerano infatti gli Usa e
molti paesi europei come nemici, per aver espresso solidarietà a Israele dopo
il massacro del 7 ottobre. Per quanto ci riguarda, fra l’altro sono comparsi
manifesti minacciosi anche contro l’Italia e il primo ministro Meloni ha
ricevuto molti messaggi di minaccia.
Gli altri
fronti
Vi è stata anche una seconda grande incursione a
Jenin, in Cisgiordania, dove fra l’altro è stato catturato Ata Abu Armila, il
boss locale di Fatah, il partito di Abu Mazen dittatore dell’Autorità
Palestinese. È una novità significativa che mostra quanto sia illusorio il
tentativo di isolare Hamas dall’attività terroristica comune a tutti i
movimenti palestinisti. Non basterà distruggere Hamas, occorre sconfiggere
tutto il terrorismo palestinista. Al Nord è continuata la guerra a bassa
intensità tanto con scambi di colpi tanto con Hezbollah in Libano, quanto con
la Siria. Sono stati colpiti in particolari i paesi dei drusi, alleati di
Israele, come al sud di Israele dei villaggi beduini, anch’essi in buoni
rapporti con lo Stato ebraico. Israele ha risposto colpendo le fonti del fuoco.
I terroristi di Hezbollah uccisi sono ormai una sessantina. Da Gaza sono
partiti ancora molti missili, che hanno anche prodotto danni in diverse città
del centro. Ma naturalmente nessuno dei “pacifisti” che chiedono a Israele di
cessare la sua azione di autodifesa ha invitato Hamas a smettere di provare a
uccidere coi suoi razzi la popolazione civile delle città israeliane.