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    Spade di ferro – giorno 19. Le armi e la politica

    Gli schieramenti militari

    Se la guerra è continuazione della politica attraverso l’uso della forza, come insegnano i teorici della strategia, essa si conduce sempre a due livelli, quello militare e quello appunto politico. Questo vale anche per il conflitto acceso dal massacro compiuto dai terroristi palestinesi nelle comunità della cintura di Gaza e ormai arrivato al diciannovesimo giorno. Da un lato vi sono i combattimenti, in cui la superiorità di Israele è indiscutibile e schiacciante, almeno finché la lotta resta sul piano dei bombardamenti aerei e dei missili. Prima o poi però si dovrà passare alle operazioni terrestri, dove i rapporti di forza potrebbero essere meno favorevoli, se non sul piano dell’intero quadro strategico, almeno su quello tattico dei combattimenti locali, dove Hamas potrà usare la sua conoscenza del terreno e le trappole mortali che ha preparato. Ma c’è anche la minaccia di un allargamento del conflitto su scala regionale, che potrebbe rendere meno chiaro anche il quadro strategico: di fronte ai 200 mila missili di Hezbollah, ai milioni di soldati, ai missili e ai droni che potrebbe schierare l’Iran, all’intervento concomitante di forze siriane e irachene, le truppe e  gli aerei israeliani e la difesa di Iron Dome sarebbero certamente di fronte a un compito assai più difficile. Su questo piano regionale Israele può contare sull’appoggio americano, almeno per l’interdizione dell’intervento diretto dell’Iran.

     

    La diplomazia

    Dall’altro lato vi è la politica, che implica tante dimensioni, innanzitutto la diplomazia, in cui bisogna leggere le sfumature. Qui vi sono da un lato i nemici veri e propri (Iran, Siria, Libano,  che hanno alle spalle Russia e Cina) e dall’altro  un largo schieramento che sostiene il diritto di Israele all’autodifesa, ma con varie riserve (i più vicini a Israele sono naturalmente gli Usa, in parte la Gran Bretagna, con cui è schierato il governo italiano, assai più lontani altri paesi europei fra cui la Francia). In questo campo ha un ruolo anche l’India. Poi vi è un largo fronte che mantiene l’ambiguità, fra cui va distinto chi a parole esprime solidarietà con gli abitanti di Gaza e però si rifiuta di rompere con Israele (sostanzialmente i paesi degli “accordi di Abramo” e quelli che potrebbero entrarvi: Emirati, Marocco, Bahrein, Arabia Saudita) e chi non interviene attivamente ma fa sentire la sua solidarietà ai terroristi: la Tunisia, negli ultimi giorni la Turchia. In questo gruppo si possono far rientrare anche alcuni governi europei, fra cui la Spagna e l’Irlanda. 

     

    Gli scopi

    Lo scopo della guerra di Israele con le armi è quello di eliminare i terroristi da Gaza. E’ un compito lungo e difficile, come Israele stesso sa benissimo, che implica perdite notevoli per i soldati israeliani e per la popolazione di Gaza, dato che si tratterà di conquistare un territorio urbano sotto a cui vi è un’estesissima rete di gallerie militari. Come prendere un’immensa fortezza preparata con mille trappole, in mezzo a una zona urbana intricata e fittamente popolata. Per questa ragione, per proteggere i civili, Israele ha chiesto ripetutamente che essi sgomberino la zona dei combattimenti, cioè il nord di Gaza, dove sono concentrate le armi dei terroristi. La diplomazia, invece, anche quella degli amici, si propone di dilazionare, in definitiva di rendere impossibile con vari pretesti l’operazione di terra e di giungere a un cessate il fuoco provvisorio, che poi dovrebbe diventare stabile, com’è accaduto nelle precedenti operazioni a Gaza. Bisogna dire che se vincesse questa linea e Israele si lasciasse paralizzare, nonostante tutti i colpi inflitti a Hamas, la vittoria sarebbe dei terroristi, che avrebbero mostrato di poter sterminare gli ebrei e sopravvivere. E’ necessario anche sottolineare che questa soluzione sarebbe la premessa di nuove stragi intorno a Gaza e anche al Nord. In effetti finora la politica è riuscita a limitare la guerra; anche gli alleati americani hanno imposto, come prezzo per la loro presenza, un rinvio ormai molto lungo dell’operazione di terra, che ogni giorno diventa politicamente più difficile da iniziare, via via che il ricordo delle atrocità del massacro del 7 ottobre sfuma nel passato, anche se militarmente il lavoro dell’aviazione rende più deboli i terroristi, eliminandoine parecchi, fra cui molti quadri e distruggendo le loro strutture.

     

    Gli ultimi eventi sul terreno

    Ieri è continuata la guerra a bassa intensità al nord, con il coinvolgimento di Hezbollah e anche soldati siriani. Israele ha di nuovo reso non operativo l’aeroporto di Aleppo, usato dall’Iran per spedire rifornimenti ai terroristi. Hamas ha mostrato di avere ancora riserve di missili e capacità operativa: in particolare è riuscito a sparare salve di razzi a lunga distanza ai due estremi di Israele, a Eilat sul Mar Rosso, dove vi sono molti israeliani sfollati dall’area dei combattimenti, e anche su Delyiat Carmel, il villaggio sopra Haifa che è la “capitale” dei drusi di Israele, stretti alleati dello stato ebraico. Questi missili sono stati abbattuti da Iron Dom, ma qualche tiro più vicino è riuscito a penetrare fino alle case israeliane. Un gruppo di terroristi che cercavano di rinnovare l’invasione del territrorio israeliano dal mare sono stati eliminati dalla marina israeliana. Infine un consistente gruppo di soldati e carri armati della brigata Givati (uno dei reparti di eccellenza israeliani) ha compiuto la notte scorsa la più massiccia incursione nel territorio della Striscia finora registrata, eliminando postazioni di Hamas, uccidendo terroristi, esplorando la situazione sul terreno. Potrebbe essere finalmente la premessa all’ingresso della spedizione israeliana.

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