Antisemitismo
Dopo lo shock della
strage terroristica del 7 ottobre, Israele e il mondo ebraico ne hanno ricevuto
un altro, più lento e progressivo, ma altrettanto micidiale: l’emergere
dell’antisemitismo nel mondo occidentale, ancor più che nel mondo musulmano,
dove esso si è manifestato in maniera meno esplosiva di quel che si potesse
temere. In Europa e negli Stati Uniti invece, vi è stata la sorpresa di un
atteggiamento generale molto diverso da quel che si credeva. Vi sono stati
cortei assai più numerosi in favore con gli assassini di Hamas (sotto il
fragile velo della solidarietà con il popolo palestinese) di quanto fossero le
manifestazioni per Israele, e spesso questi cortei erano animati da slogan
minacciosi contro gli ebrei, immagini oltraggiose come quella di Anna Frank con
la kefiah araba, cartelli che richiamavano il nazismo. Ma vi sono state, in
realtà più da parte di giornalisti e “intellettuali” che di politici
responsabili, espressioni di “comprensione” per il terrorismo, “distinzioni”
delle responsabilità, o come si espresse a suo tempo Massimo d’Alema
“equivicinanza” agli aggrediti e agli aggressori, alle vittime e agli
assassini. Vi sono stati nei giorni scorsi anche atti di violenza, come le
bombe molotov contro una sinagoga di Berlino o l’assassinio della presidente di
una sinagoga di Detroit negli Usa. Tutto questo ha naturalmente molto allarmato
gli ebrei europei e americani (almeno quella maggioranza, ma purtroppo non
totalità fra loro, che in Usa si è schierata apertamente dalla parte di Israele),
provocando un senso di insicurezza non solo sullo schieramento di diversi
stati, ma anche sulle condizioni della vita delle comunità ebraiche,
direttamente chiamate in causa dai sostenitori del terrorismo, Naturalmente non
sono mancati atti di solidarietà diffusi ed importanti, ma la preoccupazione
resta.
Guterres
Il pulpito più alto
da cui sono usciti dei discorsi di comprensione per i terroristi, e dunque di
ostilità a Israele e agli ebrei è la segreteria delle Nazioni Unite,
un’organizzazione del resto che è dominata da discorsi antisionisti almeno da
mezzo secolo, con il culmine in quella risoluzione 3379 del 10 novembre 1975,
in cui l’assemblea generale dell’Onu dichiarava a maggioranza che il sionismo è
una forma di razzismo, salvo rimangiarsela qualche anno dopo, con un’altra
risoluzione del 1991. Il lavoro di agenzie dell’Onu come l’Unesco per la
cultura, la commissione per i diritti umani, l’UNRWA che si occupa
esclusivamente dei “rifugiati palestinesi” e della stessa assemblea generale,
si è spesso concentrato sulla condanna di Israele. Ma nessuno si aspettava che
lo stesso segretario generale della Nazioni Unite, il socialista portoghese
Antonio Guterres, osasse dichiarare che il massacro di Hamas “non nasce dal
nulla”, è “il frutto di una lunga occupazione particolarmente opprimente” e che
dunque in sostanza sì, è un atto non proprio raccomandabile, ma bisogna
comprenderlo. Naturalmente Gaza non è affatto occupata, gli ultimi israeliani
ne sono usciti quasi vent’anni fa e anche in Giudea e Samaria i palestinesi che
vivono sotto la giurisdizione militare israeliana nei territori contesi sono
decisamente pochi, perché oltre il novanta per cento circa è amministrato
dall’Autorità Palestinese. Ma questo non interessa alla burocrazia dell’Onu,
che ha sposato il punto di vista palestinista e in maniera più o meno scoperta
vede il terrorismo alla stessa maniera dell’Iran o degli stessi terroristi,
come “lotta di liberazione nazionale”, che certamente può commettere degli
errori, ma la cui responsabilità è comunque “dell’occupante”. Il ministro degli
Esteri di Israele Cohen ha chiesto le dimissioni di Guterres e ha annunciato il
suo boicottaggio; ma è improbabile che questa richiesta sia accolta.
Sul terreno
Israele continua la
sua attività di questa fase, martellando con l’aviazione istallazioni e
responsabili del terrorismo a Gaza e difendendosi con attento senso della
misura al Nord. Oltre al fronte libanese, dove ci sono stati molti scambi di
colpi con diversi miliziani di Hezbollah colpiti, è tornata attiva anche la
frontiera nord-orientale con la Siria, con scambi di razzi e colpi di
artiglieria e parecchi soldati siriani eliminati. L’impressione è che questi
combattimenti limitati servano soprattutto al fronte filoterrorista guidato
dall’Iran per creare una minaccia che dovrebbe impedire l’operazione di terra:
se vi muovete a Gaza, sembra essere il messaggio, sappiate che abbiamo le forze
per colpirvi al Nord. Come Israele gestirà questa minaccia, lo si potrà vedere
solo dai fatti.
Il carburante per
Gaza
Per quanto riguarda
la striscia, il braccio di ferro politico e diplomatico è soprattutto sul
carburante. Hamas ha ottenuto, grazie all’influenza americana sul governo
israeliano, che il blocco dei rifornimenti fosse interrotto e che ogni giorno
dal valico di Rafah con l’Egitto passassero degli aiuti che consisterebbero in
generi alimentari e medicinali. I responsabili israeliani hanno detto di essere
in grado controllarli per impedire che in questa maniera passino rifornimenti
militari. Ma ora Hamas vuole il
carburante, indispensabile per far funzionare i generatori che danno luce ed
energia per le comunicazioni, le pompe e le altre macchine che servono a tenere
operativa la sua rete di tunnel d’assalto – ma che è necessario anche per
garantire l’operatività di istituzioni civili come gli ospedali e gli impianti
di panificazione. L’esercito israeliano ha documentato che Hamas mantiene
ancora larghe scorte di carburante, circa mezzo milione di litri, che
potrebbero soddisfare le esigenze degli impianti civili per diverse settimane;
ma si rifiuta di usarle per il benessere della popolazione e le riserva ai suoi
scopi militari. Per questo ha iniziato una campagna “di emergenza” per chiedere
l’arrivo di nuovo carburante e ha condizionato ad esso la liberazione di
cinquanta nuovi ostaggi, di cui si parla da tempo. Israele rifiuta, è in corso
un braccio di ferro che coinvolge anche diversi stati e organizzazioni
internazionali. Per ora il blocco regge, si vedrà nei prossimi giorni se
Israele potrà mantenerlo.