Il rilascio
Ieri notte Hamas ha rilasciato al confine di Rafah
fra Gaza ed Egitto due donne molto anziane fra quelle che i suoi terroristi
avevano rapito al kibbutz Nahal Otz. Si tratta di Nurit Cooper and Yocheved
Lifshitz, una di 85 e una di 80 anni, che sono state consegnate alla Croce
Rossa e immediatamente portate con un elicottero militare all’ospedale Ichilov
di Tel Aviv, dove vengono curate. I terroristi hanno comunicato che la
liberazione è dovuta alla mediazione dell’Egitto e del Qatar. I mariti delle
due donne, Amiram Cooper e Oded Lifshiz, anch’essi molto anziani, restano nelle
mani dei terroristi.
La questione degli ostaggi
Qualche giorno fa Hamas aveva rilasciato altre due
rapite, che avevano la cittadinanza americana. Le due signore liberate ieri
hanno invece solo la cittadinanza israeliana. Per tutta la giornata di ieri si
era parlato della possibilità del rilascio di altre 50 persone fornite di
doppia cittadinanza, ma la notizia si è rivelata falsa. Bisogna ricordare che
gli ostaggi, secondo i calcoli del governo israeliano, sono 222, fra cui molte
donne, bambini piccoli, anziani; che averli rapiti e trattenerli è un crimine
odioso. Se naturalmente siamo tutti sollevati per la liberazione di due persone
strappate con la violenza alla loro casa e alla loro vita e trattenute in
prigionia per 17 giorni, non c’è nessuna ragione per essere grati ai terroristi
o per pensare che questa azione sia un gesto di pace. Semplicemente i
terroristi cercando di usare i loro prigionieri per i loro fini: innanzitutto
per ottenere così i rifornimenti di cui hanno bisogno (per esempio ieri hanno
dichiarato che il rilascio di nuovi rapiti non si può fare perché Israele non
consente di mandare a Gaza il carburante che servirebbe innanzitutto ai
generatori da cui prendono luce e energia elettrica i tunnel da cui
combattono). Serviranno poi come scudi umani durante i combattimenti.
La doppia cittadinanza
Ma gli ostaggi sono cinicamente usati poi anche per
bloccare l’operazione di terra, per rallentare l’azione dell’aviazione, soprattutto
per cercare di isolare Israele dagli altri Paesi. L’idea di liberare i rapiti
che hanno doppia cittadinanza (e che dunque sono israelo-americani,
israelo-francesi, israelo-italiani ecc.) è odiosa in sé, ricorda quel che i
nazisti fecero prima di molte stragi (in Italia al momento del rastrellamento
di Roma, il 16 ottobre 1943 e a Meina sul lago Maggiore, quando furono lasciate
andare diverse persone con passaporti di Paesi neutrali e gli altri furono
uccisi o internati), o quello che usavano fare i terroristi nei dirottamenti
aerei, come a Entebbe. Serve a dare soddisfazione all’opinione pubblica dei
Paesi interessati, a incoraggiarli a trattare con i terroristi alle spalle di
Israele, a cercare di rendere più presentabile il terrorismo.
L’assalto all’Occidente
Ma in realtà questa operazione di relazioni
pubbliche del terrorismo difficilmente funziona. Sia perché di fatto gli
alleati dei terroristi, come le forze controllate dall’Iran in Siria e Iraq
stanno in questi giorni attaccando continuamente le basi americane nella
regione con razzi e droni, sia perché la retorica antioccidentale è presente
dappertutto nella propaganda dei terroristi e dei loro alleati. È sempre più
visibile un asse che unisce i terroristi di Hamas, i loro burattinai in Iran e
le altre forze controllate dagli ayatollah, con Russia e Cina. Israele ha fatto
sapere ufficialmente ieri alla Russia con una nota la sua “insoddisfazione” per
il suo atteggiamento poco amichevole; la Cina ha espresso altrettanto
ufficialmente la sua “simpatia per il popolo palestinese” e ha chiesto la
convocazione urgente di una conferenza di pace per far cessare la “violenza” di
cui Gaza sarebbe vittima. Nel frattempo anche i Paesi occidentali meno
sensibili alle ragioni di Israele e più affetti al loro interno da un diffuso
antisemitismo di sinistra e filo-arabo, come la Francia, compiono gesti di
solidarietà: stamattina è arrivato in Israele il presidente francese Emmanuel
Macron. E la Turchia, paese membro della NATO ma governato da un leader islamista
come Erdogan, che ospitava buona parte della direzione estera di Hamas (il
resto è in Qatar) ha chiesto ai capi terroristi di abbandonare il Paese,
ufficialmente perché non è in grado di garantire la loro sicurezza. Ma è chiaro
che si tratta soprattutto del tentativo di riequilibrare la propria posizione.
È degno di nota che i Paesi del patto di Abramo e quelli che potrebbero
entrarvi (Emirati, Baherin, Marocco fra i primi, soprattutto Arabia saudita nel
secondo gruppo) hanno tenuto finora un atteggiamento moderato, chiedendo
soprattutto la fine delle operazioni.
I dibattiti sulla strategia di Israele
Nel frattempo in Israele e fra gli alleati si
discute molto sulla data dell’operazione di terra, che non è iniziata dopo due
settimane e mezzo degli attacchi. Tutti sono d’accordo che questa operazione
sarà lunga e dura e che essa è assolutamente necessaria per eliminare Hamas.
C’è chi dice che l’esercito non è pronto, chi che invece lo è ma non ha avuto
il via dal governo, chi dice che Israele è bloccata dagli Usa, ma vi sono state
voci ieri provenienti dagli Stati Uniti che esprimevano meraviglia perché
l’operazione non fosse ancora iniziata, chi parla di dissensi nel governo, chi
addita il rischio di Hezbollah, chi dice che è meglio portare gli attacchi aerei
fino in fondo prima di rischiare gravi perdite della fanteria. La realtà è che
chi sa di questo processo decisionale non parla e chi parla non sa. Non
possiamo che attendere il risultato delle valutazioni interne e delle
trattative internazionali. Ma una cosa è chiara: per ottenere il risultato
indispensabile di prevenire un’altra strage come quella del 7 ottobre, Israele
deve distruggere i terroristi (non solo Hamas, anche la Jihad islamica e gli
altri gruppi) e non potrà farlo se non entrando a Gaza e nei tunnel.