Skip to main content

Ultimo numero Novembre – Dicembre 2024

Scarica il Lunario 5785

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    Spade di ferro giorno 17. Ostaggi e politica internazionale

    Il rilascio

    Ieri notte Hamas ha rilasciato al confine di Rafah
    fra Gaza ed Egitto due donne molto anziane fra quelle che i suoi terroristi
    avevano rapito al kibbutz Nahal Otz. Si tratta di Nurit Cooper and Yocheved
    Lifshitz, una di 85 e una di 80 anni, che sono state consegnate alla Croce
    Rossa e immediatamente portate con un elicottero militare all’ospedale Ichilov
    di Tel Aviv, dove vengono curate. I terroristi hanno comunicato che la
    liberazione è dovuta alla mediazione dell’Egitto e del Qatar. I mariti delle
    due donne, Amiram Cooper e Oded Lifshiz, anch’essi molto anziani, restano nelle
    mani dei terroristi.

     

    La questione degli ostaggi

    Qualche giorno fa Hamas aveva rilasciato altre due
    rapite, che avevano la cittadinanza americana. Le due signore liberate ieri
    hanno invece solo la cittadinanza israeliana. Per tutta la giornata di ieri si
    era parlato della possibilità del rilascio di altre 50 persone fornite di
    doppia cittadinanza, ma la notizia si è rivelata falsa. Bisogna ricordare che
    gli ostaggi, secondo i calcoli del governo israeliano, sono 222, fra cui molte
    donne, bambini piccoli, anziani; che averli rapiti e trattenerli è un crimine
    odioso. Se naturalmente siamo tutti sollevati per la liberazione di due persone
    strappate con la violenza alla loro casa e alla loro vita e trattenute in
    prigionia per 17 giorni, non c’è nessuna ragione per essere grati ai terroristi
    o per pensare che questa azione sia un gesto di pace. Semplicemente i
    terroristi cercando di usare i loro prigionieri per i loro fini: innanzitutto
    per ottenere così i rifornimenti di cui hanno bisogno (per esempio ieri hanno
    dichiarato che il rilascio di nuovi rapiti non si può fare perché Israele non
    consente di mandare a Gaza il carburante che servirebbe innanzitutto ai
    generatori da cui prendono luce e energia elettrica i tunnel da cui
    combattono). Serviranno poi come scudi umani durante i combattimenti.

     

    La doppia cittadinanza

    Ma gli ostaggi sono cinicamente usati poi anche per
    bloccare l’operazione di terra, per rallentare l’azione dell’aviazione, soprattutto
    per cercare di isolare Israele dagli altri Paesi. L’idea di liberare i rapiti
    che hanno doppia cittadinanza (e che dunque sono israelo-americani,
    israelo-francesi, israelo-italiani ecc.) è odiosa in sé, ricorda quel che i
    nazisti fecero prima di molte stragi (in Italia al momento del rastrellamento
    di Roma, il 16 ottobre 1943 e a Meina sul lago Maggiore, quando furono lasciate
    andare diverse persone con passaporti di Paesi neutrali e gli altri furono
    uccisi o internati), o quello che usavano fare i terroristi nei dirottamenti
    aerei, come a Entebbe. Serve a dare soddisfazione all’opinione pubblica dei
    Paesi interessati, a incoraggiarli a trattare con i terroristi alle spalle di
    Israele, a cercare di rendere più presentabile il terrorismo.

     

    L’assalto all’Occidente

    Ma in realtà questa operazione di relazioni
    pubbliche del terrorismo difficilmente funziona. Sia perché di fatto gli
    alleati dei terroristi, come le forze controllate dall’Iran in Siria e Iraq
    stanno in questi giorni attaccando continuamente le basi americane nella
    regione con razzi e droni, sia perché la retorica antioccidentale è presente
    dappertutto nella propaganda dei terroristi e dei loro alleati. È sempre più
    visibile un asse che unisce i terroristi di Hamas, i loro burattinai in Iran e
    le altre forze controllate dagli ayatollah, con Russia e Cina. Israele ha fatto
    sapere ufficialmente ieri alla Russia con una nota la sua “insoddisfazione” per
    il suo atteggiamento poco amichevole; la Cina ha espresso altrettanto
    ufficialmente la sua “simpatia per il popolo palestinese” e ha chiesto la
    convocazione urgente di una conferenza di pace per far cessare la “violenza” di
    cui Gaza sarebbe vittima. Nel frattempo anche i Paesi occidentali meno
    sensibili alle ragioni di Israele e più affetti al loro interno da un diffuso
    antisemitismo di sinistra e filo-arabo, come la Francia, compiono gesti di
    solidarietà: stamattina è arrivato in Israele il presidente francese Emmanuel
    Macron. E la Turchia, paese membro della NATO ma governato da un leader islamista
    come Erdogan, che ospitava buona parte della direzione estera di Hamas (il
    resto è in Qatar) ha chiesto ai capi terroristi di abbandonare il Paese,
    ufficialmente perché non è in grado di garantire la loro sicurezza. Ma è chiaro
    che si tratta soprattutto del tentativo di riequilibrare la propria posizione.
    È degno di nota che i Paesi del patto di Abramo e quelli che potrebbero
    entrarvi (Emirati, Baherin, Marocco fra i primi, soprattutto Arabia saudita nel
    secondo gruppo) hanno tenuto finora un atteggiamento moderato, chiedendo
    soprattutto la fine delle operazioni.

     

    I dibattiti sulla strategia di Israele

    Nel frattempo in Israele e fra gli alleati si
    discute molto sulla data dell’operazione di terra, che non è iniziata dopo due
    settimane e mezzo degli attacchi. Tutti sono d’accordo che questa operazione
    sarà lunga e dura e che essa è assolutamente necessaria per eliminare Hamas.
    C’è chi dice che l’esercito non è pronto, chi che invece lo è ma non ha avuto
    il via dal governo, chi dice che Israele è bloccata dagli Usa, ma vi sono state
    voci ieri provenienti dagli Stati Uniti che esprimevano meraviglia perché
    l’operazione non fosse ancora iniziata, chi parla di dissensi nel governo, chi
    addita il rischio di Hezbollah, chi dice che è meglio portare gli attacchi aerei
    fino in fondo prima di rischiare gravi perdite della fanteria. La realtà è che
    chi sa di questo processo decisionale non parla e chi parla non sa. Non
    possiamo che attendere il risultato delle valutazioni interne e delle
    trattative internazionali. Ma una cosa è chiara: per ottenere il risultato
    indispensabile di prevenire un’altra strage come quella del 7 ottobre, Israele
    deve distruggere i terroristi (non solo Hamas, anche la Jihad islamica e gli
    altri gruppi) e non potrà farlo se non entrando a Gaza e nei tunnel.

    CONDIVIDI SU: