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    Operazione “Spade di ferro” – Giorno 12

    Diplomazia e crisi

    L’ospedale di Gaza

    L’evento dominante della giornata di ieri, dal punto di vista
    dell’informazione, è stata un incendio nel cortile o nel parcheggio di un
    ospedale di Gaza, con molte vittime. Alle sette di sera, mentre era in corso un
    lancio di missili di grandi dimensioni da Gaza verso il nord di Israele, si è
    sviluppato una grande fiammata (senza esplosione, a quel che si vede dai
    filmati) intorno all’ospedale di Al Ahdi di Gaza City, che ha provocato
    numerose vittime, non è chiaro quante esattamente. Hamas ha subito denunciato
    Israele come responsabile del “bombardamento” che avrebbe provocato l’incidente,
    ma l’esercito israeliano ha smentito di aver bombardato il luogo e ha anche
    mostrato il video che mostra come la causa sia stata il fallimento del lancio
    di uno dei grandi missili che i terroristi sparavano in quel momento verso la
    città di Haifa. Accade molto di frequente, intorno al 5-10% dei casi, che i
    razzi tirati dai terroristi siano difettosi e ricadano sul loro stesso
    territorio o in mare. Questo è stato evidentemente il caso anche dell’incidente
    di ieri. Dato che la versione di Hamas è stata largamente accettata senza
    verifiche dai media, soprattutto in Italia, vale la pena di precisare che
    l’esercito israeliano è abituato ad assumersi le sue responsabilità, quando per
    caso sbaglia e che in tutta la guerra e anche nelle operazioni precedenti, i
    bombardamenti dell’aeronautica sono sempre stati mirati a singoli terroristi o
    istallazioni militari, mai indiscriminati e mai su luoghi affollati di civili. Che
    si creda a Hamas, abituato a mentire spudoratamente e non a Israele, è dunque
    il frutto di un pregiudizio purtroppo diffuso.

    Le conseguenze

    L’incidente dell’ospedale ha suscitato numerose conseguenze. Vi sono
    stati gravi assalti all’Ambasciata israeliana di Amman e al Consolato di
    Istanbul, manifestazioni violente nelle città arabe di Giudea e Samaria,
    l’Autorità Palestinese ha dichiarato un lutto nazionale di tre giorni, è stata
    annullata la conferenza che Biden avrebbe dovuto tenere proprio ad Amman con i
    leader di Giordania, Egitto e Autorità Palestinese, cortei  anti-israeliani sono previsti in tutto il
    mondo arabo, in Europa e negli Stati Uniti. In generale aumenta la pressione
    già fortissima perché Israele sospenda o almeno depotenzi la guerra con Hamas.

    Le visite diplomatiche

    Dopo il ministro degli Esteri e vicepremier italiano Taiani, che è stato
    il primo leader occidentale ad andare in Israele per mostrare solidarietà, le
    visite si moltiplicano. L’altro ieri è andata la presidente della Commissione
    Europea Ursula von der Leyen; ieri è toccato al primo ministro tedesco Olaf
    Scholz e a quello rumeno Ion-Marcel Ciolacu. Oggi tocca a Biden, preceduto da
    una fittissima rete di visite e di riunioni del suo Segretario di Stato
    Blinken; nei giorni prossimi sarà il turno di Emmanuel Macron e del primo
    ministro britannico Rishi Sunak. Insomma, la diplomazia occidentale si è
    fortemente concentrata su Gerusalemme. Si tratta evidentemente di una dimostrazione
    di solidarietà, che in certi casi come gli Usa e la Gran Bretagna è diventata
    anche molto concreta, con il rifornimento di armi e l’avvicinamento di potenti
    mezzi navali, che dovrebbero rendere più difficile l’intervento nella guerra di
    Hezbollah e del grande burattinaio del terrorismo in Medio Oriente e protettore
    di Hamas, la Repubblica Islamica dell’Iran. Israele ne è certamente molto grato.

    Le pressioni

    Ma in questo attivismo diplomatico vi è anche un forte rischio. Secondo
    una politica consolidata, gli occidentali condividono l’idea che nei rapporti
    internazionali l’uso della forza debba essere il più moderato possibile e che
    le armi debbano sempre cedere il passo alla diplomazia, appena possibile.
    Sembra un’idea ragionevole, anzi virtuosa, ma essa non considera gli abissi di
    odio e di violenza del terrorismo anti-israeliano. La conseguenza di questa
    impostazione sarebbe quella di impedire a Israele di portare fino in fondo la
    guerra a Hamas, innanzitutto rompendo l’assedio a Gaza e permettendo a Egitto e
    Turchia di portare aiuti che finirebbero innanzitutto alle truppe terroriste,
    poi impedendo l’azione di terra che è necessaria per spiantare davvero le
    organizzazioni del terrore a Gaza, e infine limitando i bombardamenti aerei e
    proclamando un cessate il fuoco immediato, come ha chiesto anche ieri il
    segretario dell’Onu Gutierrez, in visita anche lui in Medio Oriente, ma in
    Egitto, non in Israele. Questa pressione era già in atto prima dell’incidente
    dell’ospedale: vi sono resoconti di una lunghissima riunione fra Blinken e il
    gabinetto di guerra israeliano in cui è stato discusso per ore un documento presentato
    dal Segretario di Stato che imponeva la riapertura del valico di Gaza e
    sull’ingresso degli aiuti in cui il governo israeliano ha cercato di assicurarsi
    almeno garanzie che non sarebbero passati materiali militari. Ora è chiaro che
    Biden cercherà di probabilmente di far passare proprio un cessate il fuoco.
    Bisogna sapere però che se l’operazione contro i terroristi non venisse portata
    fino in fondo, sarebbe una gravissima sconfitta per Israele, per l’Occidente e
    per la pace che preluderebbe entro breve termine a nuovi grandi atti di
    terrorismo e a nuove guerre. Ogni concessione alle organizzazioni terroriste
    rafforza la loro strategia di morte.

    Le operazioni

    Nel frattempo ieri e oggi le operazioni dell’esercito israeliano
    proseguono. Vi sono stati scambi al confine nord con Hezbollah, con una
    tendenza alla crescita dell’intensità dei combattimenti. A Gaza l’aviazione
    israeliana ha eliminato alcuni importanti capi terroristi, fra cui vale la pena
    di citare uno dei loro più importanti comandanti militari, Amin Nofal,
    probabilmente il numero tre o quattro dell’organizzazione militare di Hamas.

     

     

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