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    «Il mondo deve sapere». La testimonianza di Almog, sopravvissuto al rave del 7 ottobre

    Almog Senior ha 30 anni, vive a Be’er Sheva e sta facendo un Master in neuroscienze. Ama fare hiking, sciare e viaggiare; per quattro anni ha girato il mondo. Come molti suoi coetanei, Almog adora stare con i suoi amici, ama la musica e ballare. 

    Per questo sabato 7 ottobre Almog era al rave brutalmente interrotto prima dai missili e poi dall’attacco dei terroristi di Hamas, che hanno ucciso e rapito centinaia di civili.

    Con la voce ancora rotta dal pianto, nei giorni successivi Almog ha raccontato a Shalom di aver saputo del festival da due amici del liceo che erano tornati da poco dal Boom Festival in Portogallo dove Almog non era potuto andare. Erano tutti eccitati per questo nuovo appuntamento musicale vicino al Kibbutz Re’im ed Almog, che non era riuscito ad andare in Portogallo, aveva deciso di unirsi a loro e di andare a divertirsi con i suoi vecchi amici.

    «Il mio amico Bar è venuto a casa mia a Be’er Sheva, siamo stati un po’ insieme e poi abbiamo guidato fino al festival. Quando siamo arrivati era bellissimo, una produzione veramente incredibile. Ricordo interazioni super positive con la polizia all’ingresso e persone che parlavano lingue diverse. Abbiamo sistemato le nostre tende nell’area camping e siamo andati a divertirci. Eravamo molto colpiti dall’allestimento».

    Almog ha ballato insieme ai suoi amici fino all’alba. «Al sorgere del sole abbiamo notato del fumo in cielo. La musica si è fermata e abbiamo sentito le sirene dell’attacco missilistico. Sentivamo esplosioni provenienti dappertutto. Abbiamo quindi lasciato il palco dove stavamo ballando e siamo andati nell’area del campeggio dove ci siamo riparati: era una vera e propria pioggia di missili». È a quel punto che una guardia di sicurezza gli ha urlato «Andatevene! Se per voi la vita è importante, andatevene! Prendete le vostre cose o lasciatele indietro, andate alle vostre macchine e scappate».

    Mentre parla di quella terribile giornata Almog è molto scosso. «Non stavamo ancora capendo. Pensavamo che il pericolo fossero solo i missili. Abbiamo preso le nostre cose e siamo andati alla macchina. In quel momento le persone correvano dappertutto, c’erano esplosioni in cielo ed ovunque intorno a noi. Andando verso la macchina ho perso i miei amici. Ho chiamato Bar e l’ho ritrovato nel parcheggio. Stavano ancora piovendo missili dal cielo». Almog voleva scappare con il suo amico Bar, ma da lontano hanno visto una lunga fila di macchine che tentavano di allontanarsi ed hanno quindi deciso di aspettare che il traffico diminuisse prima di andare. 

    «Abbiamo infine deciso di scappare via. Ogni volta che suonava la sirena saltavamo fuori dalla macchina e ci riparavamo sotto gli alberi fino a quando una di queste volte, mentre ci nascondevamo tra gli alberi, abbiamo sentito degli spari intorno a noi. In quel momento ho capito che la minaccia non erano soltanto i missili. Ci siamo alzati insieme a tutti le persone che erano scese dalle macchine per cercare riparo dai missili sotto agli alberi e abbiamo urlato di tornare alle macchine e di scappare».

    «Eravamo ancora nell’area del festival» prosegue Almog. «Siamo rientrati in macchina e abbiamo guidato fino alla strada principale. Abbiamo guidato verso destra perché sembrava più libero, però dopo aver sentito degli spari provenienti da quella parte, abbiamo girato e cambiato direzione, ma c’era molto traffico. Abbiamo quindi guidato sullo sterrato, nei campi, parallelamente alla strada. Abbiamo visto persone nel panico uscire dalle macchine e correre verso i campi e verso l’area sterrata dove stavamo guidando. Abbiamo quindi aiutato due ragazze preoccupatissime, una stava piangendo».

    Insieme al suo amico, Almog ha provato a rassicurare le due ragazze con le quali hanno continuano a guidare fino a quando non hanno raggiunto un incrocio dove si trovava un poliziotto. «Le ragazze sono scese sperando nell’aiuto del poliziotto. Noi gli abbiamo chiesto indicazioni stradali e cosa stesse accadendo, ma anche il poliziotto non aveva risposte».

    Almog e Bar hanno quindi continuato a guidare seguendo il navigatore. «Abbiamo raggiunto un’altra strada. Qui  abbiamo visto un pickup in mezzo all’incrocio. Da lontano abbiamo notato una persona con un fucile vicino alla macchina. Pensavamo fosse un soldato. Ricordo che ci siamo guardati e detti che non era possibile che ci fosse un  terrorista che controllava l’incrocio e così ci siamo diretti verso di lui. Quando ci ha notato ha preso dal portabagagli un fucile e ce lo ha puntato contro. In quel momento abbiamo capito che i terroristi avevano preso il controllo delle strade principali. Bar ha fatto inversione a U e abbiamo cominciato a guidare nel senso opposto. Abbiamo sentito un solo sparo. Forse l’arma si è inceppata».

    Almog racconta che hanno guidato il più velocemente possibile verso est. «Sapevamo che i terroristi venivano da Gaza. Gaza si trova a Ovest. Era l’alba. Abbiamo quindi deciso di guidare verso Est, il più lontano possibile da Gaza. Abbiamo continuato a guidare nelle strade sterrate dei campi. Abbiamo anche visto delle persone tailandesi e gli abbiamo urlato “stanno arrivando i terroristi! Scappate!”. Non ci capivano. Sono rimasti lì a guardare i missili che cadevano dall’alto sopra le loro teste».

    I due amici hanno continuato a guidare a lungo tra i campi verso il sole. «Ogni volta che sentivamo una sirena scendevamo dalla macchina e ci sdraiavamo. Ciascuno di noi controllava che non arrivassero i terroristi, poi risalivamo in macchina. Abbiamo guidato così fino a Moshav Patish. Da lì siamo tornati sulla strada principale e abbiamo deciso di andare a Be’er Sheva. Abbiamo evitato i villaggi arabi perché non avevamo una buona ricezione dei telefoni e per tutto quel tempo non avevamo avuto aggiornamenti dalle notizie, quindi non eravamo ancora a conoscenza della portata dell’attacco. Arrivati a casa mia a Be’er Sheva abbiamo chiuso a chiave, ci siamo abbracciati e abbiamo pianto».

    Martedì Almog e Bar hanno preso un giorno per prendersi cura di se stessi. «Sabato pomeriggio sono andato dai miei genitori, mentre Bar è subito stato richiamato come riserva dall’esercito, dove è rimasto per tutta la settimana. Ora sta parlando con un addetto alla salute mentale dell’IDF e poi andremo insieme in un luogo dove alcuni volontari si stanno prendendo cura dei sopravvissuti del festival».

    Almog era andato al festival con quattro amici. Sono tutti sopravvissuti. «Non posso immaginare come si possano essere sentiti gli abitanti dei kibbutz e dei moshav attaccati. Subire una violazione simile a casa propria, in quello che dovrebbe essere il posto più sicuro. Anche io mio sento violato. Ero andato al festival per divertirmi e per stare in armonia. Voglio che tutto il mondo sappia con cosa abbiamo a che fare. Voglio che tutto il mondo sappia che non si tratta di un modo accettabile di affrontare il conflitto. Non c’è niente di giustificabile in tutto ciò che è accaduto. Le persone devono saperlo».

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