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    Una divergenza, non una rottura. La crisi dei rapporti fra Biden e Netanyahu

    Una solida amicizia

    Gli israeliani continuano a pensare che gli Stati Uniti siano lo stato più amico (secondo un sondaggio del mese scorso, l’87% di loro ha un giudizio positivo degli Usa) e la loro simpatia è abbastanza contraccambiata dagli americani (secondo un altro sondaggio recente, guardando al conflitto in Medio Oriente il 49% del pubblico americano in generale si schiera con Israele e il 32% con i palestinesi, ma questo dato si inverte se si considerano gli elettori democratici (38% per Israele e 49% per i palestinesi contro il 78% a 11% dei repubblicani) e anche considerando le giovani generazioni (i “millennials” sono più favorevoli alla causa palestinese che a quella israeliana). Se ci si concentra sulla simpatia per gli Stati e non sul conflitto, però, c’è un giudizio generale del pubblico americano favorevole a Israele per il 68%. Non è difficile capire il perché di questa attrazione: a parte la politica, dove Israele si schiera praticamente sempre con gli Usa nelle sedi internazionali e, salvo qualche deplorevole eccezione per esempio di Obama, l’America ha sempre protetto Israele dai tentativi di isolarlo all’Onu, vi è una forte impronta americana nel modo di vita di Israele e gli israeliani immigrati che hanno conservato anche il passaporto americano sono molto numerosi.

     

    La crisi in corso

    Ormai però è chiaro e dichiarato: c’è una crisi politica fra Israele e Usa. Durante un’intervista data alla CNN qualche giorno fa il presidente Biden ha dichiarato che “questo è il governo israeliano più estremista che io ricordi, e sono qui dai tempi di Golda Meir”, e gli “estremisti”, ha aggiunto,  sono “parte del problema” mediorientale e non della soluzione. Thomas Friedman, un giornalista che è da sempre molto vicino alle amministrazioni democratiche, ha scritto sul New York Times che gli Stati Uniti intendono “riesaminare” le relazioni con Israele; l’ambasciatore a Gerusalemme Tom Nides, che già aveva espresso una forte distanza da Israele equiparando in un paio di dichiarazioni i terroristi uccisi negli scontri con l’esercito alle loro vittime, ha commentato gli ultimi sviluppi della politica interna israeliana dicendo che gli Stati Uniti avevano adesso il compito di impedire a Israele di “deragliare”. L’aspetto più vistoso di questa distanza è il rifiuto di Biden di invitare Netanyahu alla Casa Bianca, un atto diplomatico che è una tradizione sempre rispettata con i primi ministri israeliani quando entrano in carica. Quando gli è stato chiesto nell’intervista se intendeva finalmente far venire Netanyahu, Biden ha risposto che aveva invitato Herzog, il presidente di Israele che non ha poteri politici ed è comunque un politico notoriamente assai lontano dall’attuale governo.

     

    Le risposte di Israele

    Molti ministri e membri della maggioranza hanno reagito vivamente alle accuse di estremismo da parte di Biden e alle dichiarazioni di Nides, rimproverando agli Usa anche atti concreti, come il ritorno nell’Unesco, da cui Trump era uscito per solidarietà a Israele, il finanziamento dell’UNRWA, l’agenzia dell’Onu che spesso agisce in maniera coordinata con Hamas. C’è chi ha ricordato i continui tentativi dell’amministrazione Biden di accordarsi con l’Iran, bloccati finora per la resistenza del Congresso e per lo schieramento filorusso dell’Iran. E infine c’è chi ha sostenuto che i fondi ingenti che finanziano le manifestazioni contro la riforma della giustizia in definitiva arrivano dal Governo Usa. Netanyahu è stato zitto, non ha risposto alle provocazioni. Ma ha annunciato con molto rilievo il suo prossimo viaggio in Cina, che degli Usa è il principale avversario strategico.

     

    Le ragioni della crisi

    È chiaro che il quadro ideologico di Biden è molto lontano da quello del governo attuale di Israele, sia per la sua adesione al vecchio schema delle trattative con l’Autorità Palestinese, sia per l’influenza crescente dell’estrema sinistra nel partito democratico. Israele ha bisogno di avere una politica autonoma per difendersi soprattutto dall’Iran e gli Usa vorrebbero invece forse un esecutore passivo delle loro politiche, comunque un primo ministro più di sinistra. Insomma la tensione è reale. Ma non è affatto la prima volta che questo accade. Vi sono stati scontri fra Golda Meir e Kissinger, Rabin e Ford, Begin e Reagan, Shamir e Bush senior e soprattutto fra Netanyahu e Obama, di cui Biden era il vicepresidente. La collaborazione militare continua, è probabile che a settembre, quando Netanyahu parteciperà all’Assemblea Generale dell’Onu, vi sarà un incontro con Biden. È un dissenso, sistematico e profondo, non una rottura. In parte è anche teatro politico in vista delle elezioni americane. Ma certamente questo non è un momento facile per la collaborazione fra Usa e Israele.

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