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    Roy Chen e le sue Anime chiudono Ebraica Festival

    L’ultima serata del Festival della Cultura Ebraica di Roma è stata dedicata ad uno degli autori contemporanei prediletti: Roy Chen. Scrittore e drammaturgo stabile del teatro Gesher che, con la sua visione moderna e antica, il suo stile reale e surreale, un linguaggio che traghetta dalla favola alla tragedia, ha segnato la tappa conclusiva di un viaggio culturale nella memoria ebraica.

    Prima lo scrittore e drammaturgo israeliano è stato ospite di un incontro con Giancarlo De Cataldo dal titolo “10, 100, 1000 vite. Dialogo sulla Letteratura”. A seguire, è andato in scena “Anime”, adattamento teatrale dal suo omonimo romanzo. Uno spettacolo con la regia di Carlo Scorrano e in scena Francesco Pelosini e Laura Boriassi, che rievocano tramite diversi codici (teatro delle ombre, teatro di parola, video) il passaggio delle epoche e il trasmigrare delle anime nel gilgul, la ruota degli eventi.

    “Anime”, il celebre testo di Roy Chen, infatti, è un testo multi-spaziale – Russia, Israele, Italia, Marocco – e multi-temporale – in 400 anni – che racconta la storia di un unico protagonista, prima bambino, poi adolescente, e infine adulto, che attraversa diversi luoghi del mondo e dell’anima, reincarnandosi in molteplici vissuti. La memoria di sé, però, non scompare. 

    Il piccolo Grisha vive in tutte le vite e abita tutti i corpi. È Gimol quando vive come lavandaia nella Fes del 1896, è Ghetz, un bambino di nove anni nato e cresciuto a Chrorbitza nel XVII secolo, e poi Ghedalia, figlio di un usuraio del ghetto settecentesco di Venezia, mantenendo un’unica costante: le sue radici. La cultura ebraica è il filone che tiene assieme queste Anime, legate tra loro da un “peccato originale”, la morte di un innocente il giorno di Purim di 400 anni prima. Grisha, Gimol, Ghetz sono tre e uno, tutti alla ricerca di una risoluzione a una questione insolvibile: la reincarnazione. È possibile vivere più vite? L’ebraismo definisce la trasmigrazione delle anime come “gilgul neashmot”, una ruota degli eventi che connette le vite passate, presenti e future. 

    Un’occasione di riflessione sugli errori compiuti nella vita, sulla possibilità di imparare dalle vite altrui, sul senso stesso di appartenere ad una comunità così unita e vasta. Lo spettacolo, nato dall’adattamento del testo e organizzato in occasione del Festival nella serata del 28 giugno, alla presenza di Roy Chen stesso, sorridente e felice di vedere le sue parole prendere vita, è stato performato da due artisti giovanissimi e talentuosi che hanno utilizzato tecniche e tecnologie innovative per rappresentare le diverse Anime. Giochi d’ombra, musiche per le scansioni temporali, costumi e travestimenti colorati, voci, luci e oggetti hanno accompagnato gli interpreti della performance teatrale: Francesco Pelosini e Laura Boriassi, con la regia di Carlo Scorrano. 

    La reincarnazione come metafora di cambiamento. L’errare alla ricerca di una risposta. Un brindisi, “lehayim”, a tutte le vite e alle nuove generazioni. “Anime” di Roy Chen è il libro più letto in Israele nel 2020 e il Festival della Cultura Ebraica di Roma non può non augurare al testo di viaggiare ancora in nuovi tempi e spazi.

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