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    La Comunità nell’epoca dei social. Mezzo secolo con i notabili, poi l’epoca della comunicazione h24

    Quando si avvicinano le elezioni, locali o nazionali che siano, si manifesta la sindrome dei bilanci. È una regola che vale anche per le strutture private, ancorché senza fine di lucro come è la nostra CER. Nell’epoca dei social quattro anni equivalgono all’eternità. Ne sono trascorsi trenta dall’insediamento delle ultime “giunte dei notabili” alla guida della nostra Comunità. Le virgolette risultano necessarie per caratterizzare una dimensione sociale che non c’è più, e il termine notabili indica apprezzamento e considerazione: uomini ben conosciuti nel loro ambiente imprenditoriale e professionale, pronti a dedicare alla collettività tempo e risorse anche personali. Nel nostro nuovo mondo è invece essenziale la comunicazione prima ancora che la realizzazione, e a sorvegliare ci sono i vigilantes collocati H24 su internet. Il prossimo Consiglio, e la Giunta che ne uscirà per guidarlo e rappresentare noi tutti, dovranno muoversi su terreni non esplorati. La pandemia Covid19 e poi la guerra d’invasione della Russia in Ucraina hanno trasformato in modo irreversibile il paesaggio politico-economico, come anche la vita di ogni collettività. Il mondo di quattro anni fa non esiste più, e non tornerà. La società e i singoli individui faticano a prenderne consapevolezza, ma le classi dirigenti e chi aspira a farne parte non potranno sottrarsi. Gli ebrei passano normalmente per straordinari innovatori e perfino per indomabili rivoluzionari. Esistono eccezioni, ma la regola è esattamente opposta. Avvolti da sempre nel guscio rassicurante della tradizione, corriamo il rischio di non vedere le tempeste che incombono. Inoltre tra gli ebrei romani si è aperta una frattura che va ricomposta, quali che siano le liste chiamate a formare la prossima Giunta, cioè il nostro nuovo governo. Una parte di noi si riconosce nell’osservanza più stretta, come garanzia di rapporti costruttivi e indissolubili con l’ebraismo ortodosso in tutte le sue declinazioni. Altri vorrebbero invece la conservazione di quella elasticità che ha permesso alla nostra Comunità di restare aperta e inclusiva negli anni durissimi della ricostruzione dopo il 1945, quando occorreva creare sulle macerie lasciate dalla persecuzione e dalla caccia all’ebreo non soltanto dignità economica e sociale, ma anche elaborazione dei lutti e nuova fiducia nel futuro. Su Israele e sulla centralità di Israele nella vita ebraica della diaspora non esistono incertezze né divisioni. Chi si schiera diversamente – e pubblicamente – si colloca “fuori”, come accadde nel 1967. La solidarietà con Israele e con le energie che lo Stato ebraico sa liberare nei momenti critici non è in discussione. Questa della primavera 2023-5783 è la prima vera crisi interna dello Stato ebraico nei suoi 75 anni di storia. Esistono tuttavia interpretazioni diverse di una vicenda che si va sviluppando sotto gli occhi del mondo, e anche sotto lo sguardo malevolo dei nemici. Un problema importante è dunque costituito dalla gestione delle informazioni e della memoria. La memoria si fonda per forza di cose sul ricordo della Shoah, con sporadiche incursioni nella storia due volte millenaria degli ebrei romani. Chiunque abbia contatti veri, fraterni e sinceri con gli “altri” sa che veniamo osservati e valutati per lo sguardo focalizzato sul passato. Esiste il presente, esiste il futuro, esistono le fake e tutto un mondo che è appunto fake. Chi frequenta internet può ricevere l’impressione che si stia combattendo una battaglia già perduta. Esiste un solo modo di limitare i danni, e questo modo è la distruzione dei muri del ghetto che forse ancora ci portiamo dentro. Non basta la TV. La sola valida smentita alle fake news siamo noi stessi nel nostro quotidiano rapporto con la società nel suo complesso.

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