L’Iran contro Israele
Oggi l’Iran è il più accanito e pericoloso nemico di
Israele. Non passa quasi giorno senza che la propaganda degli ayatollah non
dica che Israele va distrutto, anzi è già vicino alla sua distruzione. Non è
solo propaganda. L’Iran non è minacciato da nessuno dei suoi vicini, ma da
molti anni lavora a costruire un armamento nucleare e ormai è riuscito a
costruire missili che possono portare la bomba atomica. La loro portata è di
almeno 1.500 chilometri, cioè superiore alla distanza che separa tutto Israele
dal territorio persiano: non ci sono infatti fra i due stati confini comuni né
rivendicazioni territoriali o economiche. Di più, l’Iran arma e finanzia i
gruppi terroristici che cercano di insidiare la vita degli israeliani: non solo
la Jihad Islamica, che è un’organizzazione direttamente dipendente da loro, ma
anche Hamas e Hezbollah che ne dipendono ideologicamente oltre che
militarmente, Fatah e gli altri gruppuscoli della galassia terrorista.
Una relazione storica lunga e positiva
Eppure la storia dei rapporti fra il popolo ebraico e la
Persia (che fu ribattezzata Iran a metà del secolo scorso) sono sempre stati
piuttosto buoni. Fu l’imperatore persiano Dario a permettere la ricostruzione
di Gerusalemme che era stata distrutta dai babilonesi; nella corte persiana
avvenne la storia di Ester, in cui alla fine il popolo ebraico riuscì ad avere
la meglio sul progetto genocida del visir Aman, che la tradizione presenta come
non persiano. Fino a che l’impero persiano non fu travolto dall’Islam gli ebrei
poterono vivervi produttivamente e fondare le accademie talmudiche della
Mesopotamia che era sotto il loro dominio. Anche dopo l’islamizzazione del
paese, l’esilio persiano fu uno dei meno problematici. Alla fondazione dello
stato di Israele, infine, e fino alla rivoluzione islamica vi fu un’alleanza di
fatto fra Israele e l’Iran, che subivano entrambi l’ostilità degli arabi. Fu
solo dopo che Khomeini rovesciò lo scià Mohammed Reza Pahlavi che il clero
sciita diffuse l’odio per Israele e iniziò il progetto di una guerra di
distruzione.
Una visita di speranza
Per questa ragione è molto significativa la visita in
Israele su invito della ministra dell’Intelligence israeliana Gila Gamliel del
figlio dello scià Reza Ciro Pahlavi in Israele, che inizia oggi. Il principe
persiano sarà in Israele qualche giorno e parteciperà anche alle cerimonie di
Iom haZicharon, che ricorda i caduti in azione delle forze armate israeliane e
le vittime del terrorismo. La visita non può avere un carattere direttamente
politico, perché Pahlavi è in esilio e non detiene alcun potere reale. Ma si
tratta pur sempre di un simbolo importante, che molti persiani ricordano con
nostalgia. Per Israele ricevere il figlio dello Scià con molti onori serve a
dire ai persiani quel che Netanyahu ha spesso ripetuto in questi anni: il
popolo israeliano non odia quello persiano, lo considera amico, è solidale con
le sue sofferenze sotto il regime degli ayatollah e ha sempre mostrato
solidarietà a chi si è ribellato alla loro oppressione: qualche anno fa il
movimento verde e in questi mesi le donne, i beluci e gli altri coraggiosi
combattenti per la liberà. Israele non ha rivendicazioni di sorta nei confronti
dello stato persiano, desidera solo non essere aggredito dal suo governo e se possibile
vorrebbe sviluppare buoni rapporti politici, economici e culturali. Per il
principe Reza Ciro Pahlavi la visita serve a ribadire la possibilità di
un’alternativa al regime islamista e a porsi come candidato a guidarla. In un
momento di crisi in cui si parla sempre più spesso della possibilità di guerra
fra Iran e Israele, ma anche di crisi del regime degli ayatollah, questa
piccola speranza per il futuro è certamente utile e opportuna.