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    La ricerca interiore nella sera di Pèsach

    Rav Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme), in Divrè Aggadà (p. 482) intitola una sua derashà su Pèsach “Il ricordo del passato e la ricerca interiore nella sera di Pèsach”.  In ogni generazione siamo obbligati a vedere noi stessi come se fossimo usciti dall’Egitto, a ricordare il passato e come siamo arrivati alla notte di Pèsach. 

                Re Davide dopo aver sconfitto i nemici e portato pace al suo regno scrisse nel  libro dei Tehillìm (Salmi, 78: 70-71): “[L’Eterno] Elesse Davide, suo servitore, lo prese dagli ovili;  lo trasse di dietro alle pecore lattanti, per pascolare il suo popolo Ya’akòv, ed Israele sua eredità”. Anche da Re, Davide non si dimenticò che veniva da umili origini. Così dobbiamo fare anche noi nella notte di Pèsach. Se l’Eterno non ci avesse fatto uscire dall’Egitto, senza tutti i miracoli, saremmo ancora schiavi, esposti a ogni abuso.

                Nella Haggadà di Pèsach raccontiamo ai nostri figli il nostro passato in Egitto, quello che ci fecero il Faraone e i suoi aguzzini. Improvvisamente interrompiamo il racconto di quello che ebbe luogo in Egitto e torniamo indietro di qualche centinaio di anni. Siamo tornati da Lavàn: “Vai e impara quello che Lavàn l’arameo voleva fare a Ya’akòv; il faraone decretò solo la morte dei maschi mentre Lavàn voleva distruggere tutto”.  

                R. Elyashiv domanda: Cosa ha trovato il redattore della Haggadà in Lavàn per affermare che fu peggiore del faraone? Non sappiamo forse che Ya’akòv fu costretto a fuggire da casa perché il gemello Esau si era riproposto di ucciderlo? E che fu proprio Lavàn che gli diede rifugio? 

                La Haggadà descrive due periodi nei quali visse il popolo ebraico.  Il primo è quello di Ya’akòv con Esau. Il secondo quello di Ya’akòv con Lavàn. Esau fece capire che voleva assassinare Ya’akòv. I maestri delMidràsh raccontano che quando Ya’akòv partì da Beer Shèva per andare a Charàn, Esau lo fece rincorrere dal figlio Elipàz con l’incarico di eliminarlo. Ya’akòv si salvò dando a Elipàz tutto quello che aveva a con se. Dopo tante peripezie arrivò da Lavàn, “Lo zio d’America”. Nel Novecento, in Europa, c’erano i pogrom e discriminazioni; in America, la veloce assimilazione.      

                Quando Ya’akòv non era ancora lontano da Esau, sognava di una scala con angeli che salivano e scendevano. Quando abitava nei pressi di Lavàn, non era più allo stesso livello e  sognava di animali: “Ecco i montoni striati, punteggiati e macchiati che salivano sulle pecore” (Bereshìt, 31:10). 

                Ya’akòv, il popolo d’Israele, nell’esilio di Esau è soggetto a persecuzioni fisiche. Ma con Lavàn è la sua anima che è in pericolo. 

                Durante la sera di Pèsach, la festa della liberazione, dobbiamo fare un “cheshbòn nèfesh”, una ricerca interiore. Siamo veramente liberi o siamo ancora schiavi in Egitto? Ci sono molte mitzvòt che sono prescritte “Perché l’Eterno ci ha fatto uscire dall’Egitto”. Per esempio: “Non commettete iniquità nel giudizio, nelle misure di lunghezza, nelle misure di peso e nelle misure di capacità. Bilance eque, pesi equi […] Io sono l’Eterno vostro Dio che vi ho fatti uscire dalla terra d’Egitto (Vaykrà, 19:35-36). Chi defrauda il prossimo, nelle sue tasche è ancora schiavo in Egitto. Alla fine della parashà di Sheminì è scritto: “Non rendetevi ripugnanti mangiando brulicanti […] poiché Io sono l’Eterno che vi eleva  dalla terra d’Egitto per essere vostro Dio…” (Vaykrà, 11: 43-45). I maestri nel trattato Bavà Metzià (61b) insegnano: “Il Santo Benedetto disse: Se avessi fatto uscire il popolo ebraico dall’Egitto solo per questo motivo, affinché non diventassero impuri consumando animali striscianti, sarebbe sufficiente per Me, poiché l’osservanza di questa mitzvà eleva il loro statura spirituale”.  Anche chi non mangia kasher ha la pancia ancora schiava in Egitto! 

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