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    Le classi invisibili, di Daniel Fishman

    Il volume Le classi invisibili. Le scuole ebraiche in Italia dopo le leggi razziste (1938-1943), pubblicato recentemente dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) di Milano e firmato da Daniel Fishman, presenta un quadro complessivo delle conseguenze delle persecuzioni antiebraiche volute dal regime fascista in ambito scolastico. Come chiarisce nella prefazione il direttore del CDEC Gadi Luzzatto Voghera, è indispensabile cogliere le reazioni delle comunità ebraiche, dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (UCII) e di privati di fronte a provvedimenti, accolti con stupore e impreparazione nel mondo ebraico, che suscitarono nel complesso scarsi segni di simpatie e vicinanza e scarsissimo aiuto da parte della maggioranza di italiani non ebrei. Con l’accentuarsi della politica razzista del fascismo nel 1938, numerose centinaia di maestri, professori, presidi e docenti universitari vengono espulsi, migliaia di studenti cacciati dalle scuole e dagli atenei, decine di libri di testo di autori ebrei messi al bando. Fishman dà voce agli espulsi, le testimonianze dei quali costituiscono la maggior parte delle fonti valorizzate. Dopo la sorpresa iniziale, che apre la strada a migliaia di dissociazioni dalle comunità, abiure e emigrazioni e relega l’UCII in una posizione di sostanziale debolezza, l’organizzazione dal basso delle singole comunità e di gruppi di privati riesce in poche settimane a creare scuole spesso, anche se non sempre, dal nulla. In molte città esistono infatti già prima del 1938 istituti elementari, ma solo a Livorno funzionano scuole secondarie. L’obiettivo è dunque trovare in breve tempo risorse economiche, luoghi per le lezioni e personale adatto, delineare programmi e obiettivi formativi. 

    Qualche esempio tra le comunità più numerose. A Torino, nonostante un imponente flusso di ebrei che lasciano l’Italia, le condizioni didattiche e disciplinari delle nuove scuole sono esemplari. Come altrove, ma più che altrove, qui le scuole diventano incubatrici di antifascismo militante, anche grazie alla presenza carismatica di Emanuele Artom, che con numerosi altri salirà sulle montagne a combattere dopo l’armistizio dell’8 settembre. Quella di Trieste è una comunità fiorente dal punto di vista intellettuale, finanziario, commerciale, industriale, esempio di una fusione perfetta con la popolazione locale – gli ebrei triestini parlano il dialetto, spesso italianizzano cognomi di origine straniera, sono irredentisti in misura molto più che proporzionale – che comporta anche una assimilazione molto significativa. Dopo la promulgazione delle leggi razziste che discriminano gli ebrei la debolezza della comunità, già legata strettamente alle istituzioni locali del regime, apparirà in tutta evidenza, le conversioni saranno la risposta di centinaia di persone, numerosi altri sceglieranno l’emigrazione, non di rado nella Palestina mandataria britannica. Roma è invece una comunità spaccata tra una maggioranza che appartiene al ceto popolare e una borghesia integrata. Nella capitale già prima del 1938 metà dei giovani ebrei frequentano le scuole elementari della comunità, che verrà ampliata con successo mentre saranno create apposite sezioni per studenti ebrei in altri istituti. Le difficoltà comunque non mancano a motivo di dissociazioni e conversioni numerose, difficoltà organizzative e, non da ultimo, un antifascismo sotto tono rispetto a quello che si manifesta in altre comunità italiane, complice il confino e l’emigrazione degli elementi trainanti di maggior spicco. 

    Da Fiume a Ferramonti, da Mantova a Pitigliano, da Biella a Ferrara, le comunità cercano e in gran parte riescono a istituire dal nulla o quasi scuole di vario ordine e di livello spesso ottimo. A Torino, Milano e Roma viene tentata perfino la strada di corsi universitari per ebrei. Le scuole che sorgono per necessità in tutta Italia in pochissimo tempo segnano anche, per molti studenti e professori, la scoperta o la riscoperta del patrimonio culturale ebraico, un elemento di specificità che influenza il progressivo rifiuto, negli ambienti ebraici, dell’omologazione fascista. Le nuove scuole degli ebrei di cui, da un giorno all’altro, era stata rifiutata l’appartenenza al loro paese, l’Italia, saranno d’ora innanzi le uniche in cui salta tutto l’impianto della formazione fascista, a partire dall’inquadramento per genere, età e gruppo sociale di appartenenza. Si aprono in questo modo le porte alla libera discussione, al gusto per lo studio disinteressato e, non da ultimo, al rifiuto di un regime criminale.

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