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    Il sapone “Graziano”, una storia della comunità ebraica in Libia

    Per anni, a causa di una mancanza di memoria scritta, unitamente a difficoltà obiettive subìte dalla popolazione ebraica residente in Libia fino alla fine della Guerra dei Sei Giorni nel 1967, non sono state documentate molte realtà che rendevano peculiare la vita di questo nucleo. Povero sì, ma industrioso e particolarmente motivato dal Sionismo.

    Dopo la guerra italo-turca e la conquista italiana della Tripolitania (1911) e il successivo assoggettamento della Cirenaica (1930), città e villaggi in Libia ebbero un forte impulso sia di urbanizzazione che di industrializzazione. Il Governatore Italo Balbo voleva rendere la Colonia una vetrina dinanzi all’Europa. Gli ebrei di estrazione occidentale si dedicarono al commercio all’ingrosso, alle spedizioni di datteri e sparto per le corde navali, all’industria. Tra questi imprenditori nelle più grandi città, Tripoli e Bengasi, si annoverano anche miei antenati.

    (Henry Levy)

    Mia madre proveniva da un’importante famiglia di Bengasi. Lo zio, Presidente della Comunità, fungeva da contatto con le Autorità coloniali, in particolare in occasione del censimento della popolazione ebraica nel 1933, e per la raccolta obbligatoria di oggetti preziosi da donare per sovvenzionare le sciagurate imprese di De Bono, Badoglio, Graziani per la campagna di Etiopia. Gli zii materni possedevano un grande emporio di orologi di lusso, pubblicizzati dai settimanali locali.  A più riprese, tra il 1941-1942 gruppi di civili italiani ritennero di vendicarsi razziando i negozi degli ebrei, per il loro appoggio ai soldati inglesi. Le violenze e gli arresti culminarono con la deportazione in massa degli ebrei nel campo di concentramento di Giado.

    A Tripoli i miei nonni paterni abitavano sin dalla fine del 1800 alla Hara, il quartiere ebraico a ridosso del Porto. Originari della Francia e produttori di olio d’oliva da alberi da loro stessi piantati, si dettero alla fabbricazione del “Savon de Marseille” (detto Graziano in onore del nonno imprenditore) che valse ai Fratelli Levy nel 1925 la Medaglia d’Argento di Chimica Pura ed Applicata all’Esposizione Nazionale di Torino, nel 1928 la Medaglia di Bronzo alla Mostra Coloniale di Torino, nel 1929 il Diploma di partecipazione alla Terza Fiera Campionaria di Tripoli. Il sapone, un blocco verde quadrato venduto a peso, veniva prodotto nel patio da nonni e zii ed era esportato in tutto il Nord Africa. Per decenni venne utilizzato per il bucato, per il bagno, per i capelli, perché composto da soli ingredienti vegetali. La produzione artigianale della Fabbrica, chiamata a Tripoli Dar El Sabun (Casa del Sapone) cessò nel 1965 per la moderna introduzione di detergenti e shampi europei. Nei piani superiori dell’edificio, esempio di architettura ottomana costruito alla fine del ‘700, vi erano varie stanze cui si accedeva con una scala ripida: lì viveva la famiglia. La casa, adornata da due grandi leoni di marmo, l’unico pianoforte del quartiere, tappeti persiani, specchi dorati e lampadari di Murano, venne assaltata e le sue suppellettili distrutte dopo l’esodo del 1967. Oggi l’edificio è adibito a Museo dell’Artigianato della Città, vittima di un restauro che non gli rende giustizia.

    (Marchio: Sapone Graziano dei fratelli Levy, copia conservata all’Archivio Centrale dello Stato)

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