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    Francia: scoperti riferimenti al re David in una stele moabita custodita al Louvre

    La Stele di Mesha, scoperta in frammenti nel 1868 a pochi chilometri dal Mar Morto e che attualmente risiede nel museo del Louvre a Parigi, contiene riferimenti espliciti al re David. È quanto hanno scoperto i ricercatori studiando la pietra nel quale è incisa la storia del re Mesha di Moab e che attualmente è la più grande fonte della lingua moabita fino ad oggi. 

    Su questa lastra è inciso  un lungo resoconto della guerra di Moab contro Israele. Infatti gli eventi descritti corrispondono ad un racconto scritto nel secondo libro dei 2 Re al capitolo 3. Il testo contiene allusioni alla “Casa di Davide” e all'”Altare di Davide”. Tuttavia, fino ad oggi, gli studiosi non potevano essere del tutto sicuri che questi riferimenti al re Davide fossero stati correttamente decifrati. Questo perché fino ad oggi solo la prima e la quarta lettera delle parole che fanno riferimento alla “Casa di Davide” erano completamente chiare. 

    La frase moabita che si riferisce alla Casata di David è composta da cinque lettere: bt dwd. “Bt” è simile alla parola ebraica bayit/beit, ossia casa, mentre “dwd” può essere pensato come daled vav daled, ovvero il nome David.

    Nel numero invernale di Biblical Archaeology Review, i ricercatori André Lemaire e Jean-Philippe Delorme hanno spiegato come sono giunti a questa scoperta. Il team ha utilizzato un metodo chiamato Reflectance Transformation Imaging (RTI), in cui vengono scattate da diverse angolazioni numerose fotografie digitali che vengono poi combinate per creare un’immagine digitale precisa e tridimensionale del pezzo. “Questo metodo è particolarmente prezioso perché consente ai ricercatori di controllare l’illuminazione di un artefatto inscritto, in modo che le incisioni nascoste, deboli o consumate diventino visibili” hanno sottolineato.

    Nel 2018 il Louvre ha scattato nuove immagini ad alta risoluzione che hanno permesso ulteriormente  ai ricercatori di raccogliere un quadro molto più chiaro degli antichi documenti. “Questo – hanno spiegato Lemaire e Delorme nel loro paper – ci ha permesso di vedere le tre lettere che non riuscivamo a vedere”. 

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