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    Tornano le pietre d’inciampo a Roma: “È sulla soglia di casa che iniziò lo sterminio nazista”

    “È un grande memoriale diffuso in tutta Europa. Ma è anche un’opera d’arte. Quello che è accaduto qui oggi, questo raduno di persone, è un’opera d’arte.” Gunter Demnig è tornato a Roma per continuare l’opera monumentale, iniziata a Colonia nel 1992, in memoria delle vittime dello sterminio nazista e della persecuzione. In questi giorni, nei municipi I, II, III, V, XIV, XII e XIII, Demnig posiziona 38 nuove pietre d’inciampo, quei sampietrini incastonati lungo le vie delle città d’Europa, piccole targhe in ottone in prossimità dei luoghi da cui non solo ebrei, ma anche omosessuali, sinti, rom, testimoni di Geova, disabili fisici e mentali, oppositori del regime nazista e membri della Resistenza, sono stati catturati e deportati. Come Federico Uberti, preso dai fascisti nella sua abitazione in via Germanico 172 mentre nascondeva in casa l’amico ebreo Angelo Pavoncello e suo figlio Vittorio. Uberti fu deportato e ucciso a Mauthausen, ma grazie a lui i Pavoncello si salvarono.

    Le prime quattro pietre d’inciampo del 2023 – con i nomi delle vittime, le date di nascita, di arresto, deportazione e morte (se conosciute) – sono state cementate tra i sampietrini di vicolo Costaguti, nel quartiere ebraico, in memoria di Marcella e Clelia Perugia, e di Giuditta e Pacifico Di Veroli. Il 16 ottobre 1943 Marcella era a casa con i suoi quattro figli, incinta del quinto, in compagnia della sorella Clelia. Le due donne e due dei bambini, Giuditta e Pacifico, furono deportati e uccisi. I due figli più piccoli, Alessandro che aveva tre anni e Rebecca che ne aveva appena uno, furono salvati da un amico di famiglia cattolico, che li prese e li spacciò per suoi con i tedeschi. Alessandro e Rebecca, insieme con i figli e i nipoti, hanno assistito alla cerimonia, condividendo il racconto con i presenti. “Noi viviamo attraverso loro quello che purtroppo è stato – ha detto a Shalom il figlio di Alessandro e nipote di Rebecca – e speriamo che con questo gesto la memoria si tramandi e resti impressa nella pietra, come le pietre d’inciampo”. Un inciampo emotivo, mentale e visivo che stimola chi percorre le strade delle città d’Europa, oltre 2 mila dall’avvio del progetto, a riflettere su quanto accaduto in quel luogo e in quella data. 

    Al posizionamento dei sampietrini con la targa in ottone nelle vie intorno al Portico d’Ottavia c’era Alessandra Sermoneta, vice presidente del Municipio I che ogni anno – questa è la 14esima edizione – conferma il supporto all’iniziativa curata da Adachiara Zevi per Arte in Memoria. In rappresentanza dell’Ambasciata d’Israele in Italia c’era l’addetta culturale Maya Katzir. Per la Comunità ebraica di Roma sono intervenuti la presidente Ruth Dureghello, il vicepresidente Ruben Della Rocca e l’assessore alla Memoria Massimo Finzi. Un’altra pietra d’inciampo, in aggiunta alle molte depositate negli anni passati, è stata collocata oggi in via del Portico d’Ottavia 1, in memoria di Elena Di Porto, la donna che avvisò in largo anticipo il capo rabbino di Roma che sarebbero venuti i nazisti nel ghetto ma che non fu creduta per la sua reputazione da “Elenuccia la matta”. E poi in via della Reginella 27 (Viale e Fulvio Di Porto), in via Dandolo 6 (Michele Ezio Spizzichino e Aurelio Spagnoletto), in via dei Fienaroli 36 (Elio Pavoncello), in piazza S. Maria Liberatrice 18 (Mario Anticoli), in viale Giulio Cesare 62 (Pellegrino Sermoneta, Emma e Camilla Piazza Sed), in via Silla 6 (Otello Di Peppe d’Alcide) e in via S. Tommaso D’Aquino 32 (Aldo Eluisi). Oggi altre pietre d’inciampo vengono posizionate in viale Trastevere 240 (Costanza Citoni e Angelo, Carlo, Umberto e Franco Sabatello) e 246 (Sergio e Umberto Mieli), in piazza Ledro 7 (Raffaele Zicconi), in viale di Valle Aurelia 30 (Vittorio Fantini), in via Eugenio IV 8 (Fiorino Fiorini), in piazza S. Zaccaria Papa 1 (Elvira Di Nepi, Salomone Saul e Armando, Alvaro, Alberto e Graziella Coen) in via Tor De’ Schiavi 129 (Guido Borgioni), in via Fausto Pesci 27 (Adolfo Bonfanti), in via Adriano Balbi 20 (Tito Bernardini) e in via di Valle Melaina 34 (Antonio Pistonesi e Renzo Piasco).

    Indirizzi che è importante fissare nel ricordo perché corrispondono all’ultimo luogo dove le vittime sono stati individui liberi, prima della loro cattura. “L’idea di ricordare i nomi delle persone presso i portoni delle loro abitazioni – ha spiegato l’ideatore dei “Stolpersteine” – è perché, sebbene Auschwitz fosse lontana, è sulla soglia di casa che iniziava lo sterminio nazista”.

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