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    “Aiutateci a riportare a casa i nostri ragazzi”: il dolore e la speranza nelle parole dei parenti dei giovani israeliani rapiti da Hamas

    Quando li incontriamo i loro volti sono ancora scossi dal susseguirsi di emozioni accumulate in queste ore romane. Dopo otto anni di dolore, in cui i propri figli sono stati uccisi o rapiti da Hamas, genitori e fratelli non si arrendono e restano con la speranza che possa avvenire una liberazione degli ostaggi Avera Mengistu e Hisham Al-Saed, ragazzi con problemi mentali che hanno varcato il confine con Gaza, e una restituzione dei corpi di Hadar Goldin e Oron Shaul, militari uccisi durante l’operazione “Margine di Protezione” del 2014, seguita al lancio di missili da parte di Hamas contro Israele. A dispetto del diritto internazionale, l’organizzazione terroristica Hamas non solo tiene in ostaggio i quattro israeliani, ma impedisce anche l’accesso ai rappresentanti della Croce Rossa e priva cinicamente le famiglie di qualsiasi informazione.

    “Quando mio figlio ha oltrepassato il confine della Striscia di Gaza, ci hanno avvisato che era entrato. Poi, dopo tre mesi, ci hanno consegnato il suo zaino. Io come padre ho chiesto: perché solo il suo zaino e non mio figlio? Sono molto addolorato per questa incertezza che si sta protraendo da ben 8 anni” racconta a Shalom Gashao Mengistu, padre di Avera. La famiglia di origine etiope è commossa dall’accoglienza ricevuta la mattina da Papa Francesco e il pomeriggio dalla Comunità Ebraica di Roma, dove hanno partecipato all’accensione della chanukkià al Tempio Maggiore. A raccontare la storia di Avera e l’esperienza a Roma è anche il fratello di Avera, Ayaline Mengistu. “Siamo qui in Italia per chiedere ai politici, al Papa, alla Comunità ebraica e a chi altro possa intervenire di aiutarci a riportare indietro mio fratello che sta da otto anni nelle mani di Hamas. Prima del suo rapimento, è mancato un altro fratello: Avera non ha superato il trauma e questa vicenda gli ha provocato dei problemi di salute mentale; senza sapere cosa stesse facendo ha oltrepassato i confini di Gaza. Sappiamo che entrato vivo, lo hanno visto delle telecamere. Non ha ricevuto alcune tutela umanitaria, ma non abbiamo notizie, né sappiamo se sia vivo o morto”.

    La storia di Hisham Al-Sayed, di origine beduina, è simile a quella di Avera. Di lui è stato rilasciato un video la scorsa estate che lo ritrae con una maschera di ossigeno, in condizioni deteriorate.

    “Mio figlio è malato – ci racconta sui padre Shaaban El Said – È stato catturato da Hamas a Gaza ed è ancora là. Qua a Roma ho sentito una calorosa accoglienza, specialmente presso la Comunità ebraica vi è stata una grande ospitalità e un vero spirito di fratellanza. Il messaggio che lanciamo è quello di aiutarci a sostenere questa delicata sfida affinché la situazione si possa risolvere al meglio”.

    Le famiglie di Hadar Goldin e Oron Shaul non potranno rivedere vivi i loro cari, ma sperano ancora di poter dare ai due ragazzi scomparsi un ultimo saluto. “Mio fratello è stato rapito e ucciso da Hamas durante il cessate il fuoco nella guerra del 2014 – spiega a Shalom Hemi Goldin – Da allora stiamo chiedendo che ci restituiscano almeno il corpo. Ma Hamas è un’organizzazione terroristica e da loro non può arrivare una risposta. Chi può aiutarci sono solo altri Paesi, istituzioni e le comunità ebraiche. Il nostro messaggio in questa visita a Roma ha proprio questo obiettivo: siamo ebrei, siamo fratelli, speriamo che la comunità di Roma possa aiutarci a riportare mio fratello a casa per potergli dare una degna sepoltura in Israele. Ci hanno accolto tutti benissimo, questi incontri ci infondono ottimismo”.

    La risposta della Comunità Ebraica di Roma è stata di grande solidarietà, con la promessa che tutto ciò che sarà possibile per aiutare queste famiglie a recuperare i loro cari sarà fatto.

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