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    Il discorso della Presidente Dureghello in occasione del 40º anniversario dell’attentato alla Sinagoga di Roma

    Illustre Presidente, 

     

    Gentile Autorità e cari amici, 

     

    Può sembrare complicato comprendere come si possa conciliare il ricordo di un avvenimento così drammatico come l’attentato al Tempio Maggiore di Roma e la donazione di un nuovo Sefer Torah che rappresenta un momento di gioia. 

    Questo rotolo che viene donato oggi è un inno alla vita che vogliamo celebrare, nonostante il dolore, la rabbia e il senso di ingiustizia che rappresenta per noi il 9 ottobre 1982. 

    In questa ora di quarant’anni fa la violenza del commando palestinese si accingeva a colpire questa sinagoga. Raffiche di proiettili e bombe colpirono i fedeli inermi in uscita dalla festa, nel giorno in cui era prevista la benedizione dei bambini. 

    Quaranta le persone ferite e un morto, Stefano Gaj Taché. Un bambino di due anni, un bambino italiano, come lei Presidente Mattarella ha ricordato sancendo un momento importante nella storia di riconciliazione di questo Paese con gli ebrei romani e italiani. 

    Quel giorno cambiò la vita di tante persone, della famiglia a cui venne strappato Stefano e dei tanti feriti. Cambiò anche la vita della nostra Comunità che comprese che nulla sarebbe potuto essere come prima. 

    Quell’attentato non fu un episodio isolato, ma il culmine di una campagna d’odio con responsabilità ancora da chiarire, ma in cui apparve subito chiaro ciò che non si voleva ammettere: l’antisemitismo aveva colpito ancora e si era insidiato pericolosamente dietro all’odio contro lo Stato d’Israele. 

    Da quel giorno di quaranta anni fa sono tante le cose successe. Se però siamo ancora qui è perché oltre al dolore che è ancora vivo, auspichiamo che finalmente possa esserci verità storica e processuale. Non per vendetta, ma per giustizia. 

    Da questo luogo chiediamo verità, perché è necessario che quel velo d’ipocrisia e omertà che rese possibile che un comando terroristico agisse indisturbato nel pieno centro di Roma venga finalmente svelato. 

    Oggi però è un giorno di festa, come sarebbe dovuto esserlo quarant’anni fa. Le parole scritte nella Torah rappresentano, secondo i nostri Maestri: “la nostra vita e la lunghezza dei nostri giorni”. Dedicare questo rotolo a Stefano significa continuare a farne vivere la memoria ebraicamente. Significa legare momenti di vita ebraica alla sua persona nonostante lui non sia fisicamente più con noi. Saranno i nostri figli, i tanti bambini che sono oggi qua al Tempio Maggiore che si avvicenderanno nella lettura della Torah negli anni a venire a permettere che il nome di Stefano non sia mai dimenticato.

    La sua presenza qui oggi, signor Presidente, rappresenta un ulteriore tassello di vicinanza e amicizia, ma soprattutto la rivendicazione di quel messaggio che sin dal giorno del suo insediamento ha voluto far suo. Noi siamo italiani, orgogliosamente e anche se qualcuno in passato non ci ha considerato tali, noi continueremo con questo spirito a vivere a contribuire per il bene di questo Paese. 

    Grazie Presidente. Se per tanto tempo ci siamo sentiti soli, la Sua presenza qui oggi invece ci fa comprendere che non lo siamo più e di questo gliene siamo grati.

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