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    Un Consiglio per fare da ponte fra Israele e Europa? Non proprio. Ma i rapporti importanti sono altri

    Parere favorevole al Consiglio

     

    I ministri degli esteri dell’Unione Europea hanno dato parere favorevole alla convocazione del Consiglio di Associazione con Israele, il massimo organo per i rapporti fra Europa e Stato ebraico, che non si riuniva da dieci anni. La notizia sembra positiva, tanto da essere stata annunciata dal primo ministro israeliano Lapid come una vittoria. Se si guardano le cose più da vicino, però l’impressione cambia un po’. In primo luogo nel 2012 fu Israele a lasciare il Consiglio, che non si è più riunito. La ragione era una protesta contro la distinzione che l’Europa iniziò allora a fare nei trattamenti economici e politici fra il territorio delimitato dalle linee armistiziali del 1948 (la linea verde) e la Giudea e Samaria. L’Europa non ha cambiato posizione anzi ha utilizzato da allora molti strumenti economici e diplomatici per cercare di sostenere  il “carattere arabo” di quei territori. E’ Lapid che già da Ministro degli esteri aveva stabilito che questa convocazione doveva essere “un obiettivo primario” dell’azione diplomatica di Israele.

     

    Il progetto dell’Unione Europea

     

    La seconda ragione di dubbio emerge da un dettaglio tecnico. In realtà i ministri degli esteri hanno fatto una dichiarazione di principio, che accoglie una richiesta israeliana, ma nessuna data è stata stabilita. La ragione è stata spiegata dal “Ministro degli esteri dell’Europa”,  lo spagnolo Josep Borrell: “la data per la nuova riunione del Consiglio sarà concordata con Israele solo dopo che gli stati dell’Unione Europea avranno concordato una posizione comune sulla ‘questione palestinese’.” Come dire: i rapporti dell’Europa con Israele non dipendono da quel che fa lo stato ebraico sulle relazioni bilaterali con la Comunità Europea, quindi dal commercio, dalla cultura dalla scienza, dalle sue posizioni sui temi europei del momento, come l’Ucraina. Ma viene valutato invece a partire dai suoi rapporti con una terza entità, l’Autorità Palestinese. Ciò è confermato dal seguito della dichiarazione di Borrell: “Sappiamo che la situazione nei territori palestinesi si sta deteriorando e credo che i ministri si siano trovati d’accordo sul fatto che il Consiglio di associazione costituisce una buona opportunità per dialogare con Israele sul tema”, aggiungendo che “la posizione dell’Unione Europea rispetto al processo di pace in Medio Oriente non è cambiata” rispetto al vecchio slogan dei due stati.  Che questa impostazione non funzioni, come ormai è chiaro  da decenni di sforzi falliti, e che nel frattempo siano emerse altre linee, come quella dei “patti di Abramo” all’Unione Europea non importa: “la posizione non è cambiata”.

     

    L’antisemitismo europeo

     

    Questo atteggiamento si è visto anche nel fallimento, avvenuto sempre nei giorni scorsi, di una delegazione della Commissione Diritti umani del Parlamento europeo, che voleva venire in Israele a parlare con Marwan Barghouti, terrorista che sta scontando 5 ergastoli nelle prigioni israeliane per aver organizzato altrettanti sanguinosi attentati: una strana pretesa, fare una missione in uno stato straniero per parlare con un criminale. Ma poi è venuto fuori che la delegazione includeva anche l’eurodeputato Jaak Madison, del partito conservatore e membro dell’Ekre, partito populista di estrema destra estone, che ha espresso negli ultimi anni spesso posizioni negazioniste e filofasciste. Di fronte al rifiuto di Israele di accogliere un personaggio del genere. la missione è stata annullata.

     

    La collaborazione

     

    Ma in realtà la situazione non è tutta così negativa. Israele è da sempre più vicina culturalmente e politicamente agli Stati Uniti, ma la distanza geografica dall’Europa è molto minore, il che comporta chiare convergenze di interessi geopolitiche e commerciali; e inoltre buona parte della popolazione israeliana ha radici europea. L’Europa ha poi nella sua memoria la Shoà e le persecuzioni degli ebrei nei secoli; inoltre il contributo culturale ebraico è stato determinante almeno a partire dall’Ottocento. Vi sono dunque temi comuni che vanno oltre la volontà politica della Commissione Europea o possono anche modificarne la posizioni. In questo momento un problema decisivo per l’Europa sono i rifornimenti energetici e per ciò il gas israeliano è un possibile legame decisivo. Altri temi sono più immateriali, ma importanti: la tecnologia israeliana (per esempio quella agricola, importante per combattere la desertificazione), la cultura condivisa (romanzi, film, serie, arte), l’organizzazione politica democratica e anche il ponte delle comunità ebraiche europee è importantissimo. Insomma, lo spazio della collaborazione non è politico, ma sociale, umano, artistico ed economico.

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