Da poco meno di 10 anni sta fiorendo una nuova comunità ebraica a Maiorca. Ma la storia ebraica di questa isola delle Baleari ha antiche origini e una durata di un millennio, prima di interrompersi bruscamente nel 1391 con le prime persecuzioni, a cui fece seguito l’obbligo di conversione al cristianesimo del 1435. Di fatto, sull’isola non è rimasta una comunità ebraica, fino a quando nel 2014, il newyorkese Dani Rostein non vi si è trasferito, facendo rifiorire la vita ebraica locale. Rostein ha quindi fondato Jewish Majorca per promuovere la cultura ebraica di Majorca e la storia degli Chuetas.
Dopo le conversioni forzate al cattolicesimo nel Quattrocento, molti ebrei convertiti continuarono a praticare di nascosto l’ebraismo, rischiando la tortura e la condanna a morte. Un gruppo di ebrei tentò di fuggire da Maiorca nel 1691, ma furono catturati e torturati per circa 3 anni, prima della loro condanna a morte. All’esterno del Convento di Santo Domingo fu affissa una lista con i cognomi degli ebrei convertiti, i cui discendenti furono dispregiativamente chiamati Chueta.
«La storia degli Chuetas è una storia affascinante» spiega Juan Caldes, direttore di Jewish Majorca e uno dei leader della comunità ebraica spagnola. «È la storia di 15 famiglie che, dopo l’inquisizione spagnola, divennero cripto-ebrei. Anche se furono costretti a convertirsi al cattolicesimo, rimasero ebrei. Praticavano l’ebraismo di nascosto. Oggi ci sono circa 20.000 discendenti di quelle famiglie».
«In Spagna siamo passati dal non avere ebrei ad averne circa 40.000 negli ultimi 50-60 anni. Si tratta di una enorme crescita per la nostra comunità. A Maiorca ci sono circa 200 membri registrati nella nostra comunità, tuttavia, contando anche gli ebrei laici, religiosi ed espatriati si arriverebbe ad una quota tra i 500-1000. Non pochi, considerando che viviamo su un’isola. La comunità sta crescendo e dall’anno scorso abbiamo anche un rabbino nato e cresciuto a Majorca, ma di religione cattolica. Dopo aver scoperto le sue radici ebraiche si è trasferito in Israele e ogni due settimane viene a trascorrere 15 giorni con noi. È eccezionale perché per la prima volta, dopo centinaia di anni, dall’inquisizione spagnola abbiamo un rabbino natìo di Majorca», spiega Juan.
La comunità ha anche una sinagoga, che viene protetta dalla servizi di sicurezza, sebbene «ci sentiamo molto sicuri nella nostra keillah» specifica Juan che si occupa anche delle relazioni pubbliche della Federazione dei giovani ebrei spagnoli. A Majorca non ha mai assistito ad atti antisemiti e ritiene che il vero problema spagnolo sia l’antisionismo. «La scorsa settimana abbiamo ricevuto brutte notizie dal parlamento catalano perché è il primo parlamento spagnolo che ha formalmente dichiarato che Israele è uno stato di apartheid. Stanno dicendo di fatto “Pensiamo che Israele sia uno stato criminale e di apartheid”. Israele è un buon esempio di democrazia nel Medioriente e dobbiamo lavorare molto su questo». Nonostante la delusione del parlamento catalano, vi è maggiore apprezzamento per la mozione del parlamento delle Baleari: «Siamo molto fieri che sia stato il primo a passare una mozione contro il movimento BDS. Adesso anche il parlamento di Madrid pensa di approvare la stessa mozione. Cercheranno anche di portarla al livello nazionale, al Congresso. E voteranno presto sul taglio di tutti i fondi destinati al movimento BDS».
La comunità ebraica di Majorca sta invecchiando molto. I giovani lasciano l’isola e una delle sfide più sentite a livello locale è quella di garantire una continuazione della comunità ebraica sull’isola. Mancano ancora un ristorante ed un supermercato kasher, che Juan spera vengano aperti presto. Il cibo kasher viene appositamente importato per la comunità e si può comprare accanto alla sinagoga. «Ancora non abbiamo un mikvé funzionante, però accanto alla sinagoga c’è il mare».