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    La notte del Tikkun

    La festa di Shavuòt, a differenza di Pèsach e Sukkòt, non è caratterizzata da nessuna mitzwà comandata dalla Torà, se si fa eccezione delle regole che riguardano le offerte e i sacrifici della Festa. Ciò, tuttavia, non ha impedito che nel corso dei secoli si sviluppassero dei minhaghìm propri di questa Festa, legati ai vari aspetti di questa giornata ed in particolare al ricordo del Mattàn Torà. Secondo la tradizione rabbinica i Dieci Comandamenti furono pronunciati infatti proprio il 6 di Sivan, il giorno di Shavuot, benché non sia scritto espressamente nella Torà; ogni anno riviviamo l’esperienza straordinaria del Dono della Torà, che unì allora tutto il popolo d’Israele “come una persona, con un solo cuore” e che spezzò definitivamente le catene della schiavitù egiziana a cui erano ancora legati.

    Una di queste usanze è quella di rimanere svegli tutta la notte di Shavuòt per studiare Torà. Questa notte è chiamata ”Limmud” “Mishmarà”, veglia, o “Tikkùn”, “riparazione”; in realtà non si tratta di un minhag unico e specifico della Festa di Shavuot, perché anche in altre occasioni esiste l’uso di rimanere svegli la notte per studiare (il 7° giorno di Pesach, il giorno di Hoshana Rabbà, la notte prima della Milà). La notte è considerata un tempo propizio per la preghiera, ma anche per lo studio della Torà; il Rambam insegna che chi vuole acquisire la “Corona della Torà” deve studiare di notte perché è di notte che si riesce ad arrivare ai livelli più alti di comprensione della Saggezza Divina. La prima fonte che parla espressamente del Tikkùn di Shavuòt è lo Zohar che attribuisce l’uso agli “Antichi Chassidìm” e che dà una motivazione legata al mondo della Mistica: i devoti, studiando con gioia, preparano tutta la notte i gioielli della sposa, metafora per la Torà, che l’indomani mattina si unirà a Popolo d’Israele, in una sorta di matrimonio mistico (Zohar, Par. Bereshit pag. 8a; Emor 98a). Il fatto che il Popolo d’Israele e la Torà siano legati da un rapporto simile a quello matrimoniale è diffuso nei testi rabbinici e nella liturgia (p.e. mishna fine taanit). La ricompensa per chi rimane sveglio ad occuparsi di Torà sarebbe, sempre secondo i cabbalisti, la promessa di portare a termine l’anno in salute, senza alcun danno, e di salvarsi dalla pena del Karèt (R. Chaim Vital). Il minhàg che inizialmente era seguito solo dagli studiosi e dai cabbalisti si diffuse piano piano, grazie all’influenza dell’Arizal e dei suoi seguaci, anche tra le persone semplici “dai più grandi ai più piccoli”, tanto nelle comunità sefardite quanto in quelle ashkenazite (Shà’ar Hakavvanòt di Rabbi Chayìm Vital; Shenè Luchòt haBerìt di Rabbi Yeshaià Horowitz). Benché Rav Yosef Caro non accenni a questo uso nel suo Shulchàn Arùkh, ci è arrivata una descrizione mistica del suo studio durante la notte di Shavuot attraverso una testimonianza di Rav Shelomò Halevì Alkabètz, noto per aver composto il Lekhà Dodì. In quell’occasione, secondo questa fonte, a Rav Yosèf Caro viene detto da un Magghìd (angelo) di andare a stabilirsi in Èretz Israèl (riportato da Rav Y. Horowitz).

    In epoca più recente sono state citate delle testimonianze molto precedenti allo Zohar che potrebbero avere qualche legame con quest’uso; tra queste, quella di Filone Alessandrino che riporta che già all’epoca del Secondo Tempio i Terapeuti di Alessandria (setta ascetica, imparentata con gli Esseni) rimanevano svegli tutta la notte di Shavuòt e la passavano in preghiera (De vita contemplativa 83). Il testo del Tikkùn, di cui abbiamo versioni differenti, è composto in generale da passi tratti della Torà, dai Nevi’ìm e dai Ketuvìm, e da brani dello Zòhar. A questi sono stati aggiunti poi il minyàn hamitzwòt (Computo dei Precetti) del Rambàm o le Azharòt di Rabbi Shelomò ibn Ghebirol, il Midràsh sul brano dei Dieci Comandamenti e, secondo alcuni, alcuni capitoli della Mishnà. Al termine del Tikkùn si recita il Qaddìsh, e si usa immergersi nel Mikwè come atto purificatorio e come completamento della notte di riparazione passata in studio e preghiera. Il Rabbino Chayìm Yosèf Davìd Azulài (Yerushalaim, 1724 – Livorno, 1806) critica coloro che preferiscono studiare altre opere di Torà, come il Mishnè Torà del Rambàm, e sottolinea invece l’importanza di seguire il testo del Tikkun stabilito dai mekubbalim e basato su quanto scritto nello Zohar; soltanto dopo aver concluso il Tikkun tradizionale, scrive, è possibile continuare a studiare altri argomenti di Torà (Lev David, cap. 31). D’altra parte, altri Rabbini contemporanei come Rav Ovadia Yosèf hanno scritto che se gli studiosi di Torà preferiscono dedicarsi al Talmùd al posto di leggere il Tikkùn, non vanno ripresi perché come dice il Talmùd (Avodà Zarà 19a): “Una persona apprende solo ciò che il suo cuore desidera”; ciò nonostante, se ci si trova in un posto dove il pubblico recita il Tikkùn bisogna seguire l’uso del posto e non separarsene (Yechavve Da’at 3:32).  

    Secondo alcuni, oltre a ciò che scrive lo Zohar, il motivo per cui fu stabilito quest’uso è per riparare uno sbaglio degli Ebrei che la mattina del 6 di Sivan non si svegliarono per ricevere la Torà sul Monte Sinai come avrebbero dovuto, ma dovette Moshè andare a svegliarli (Maghen Avrahàm sulla base del Midrash Shir Hashirim Rabba 1:56). Altri invece sostengono, al contrario, che gli Ebrei si prepararono a ricevere la Torà il 6 di Sivan passando anche loro la notte svegli, e proprio in ricordo di questo loro gesto si usa ripeterlo ogni anno la notte di Shavuòt (R. Avrahàm ibn Ezrà su Shemòt 19:11). 

    I Posekìm sottolineano l’importanza di questa notte e raccomandano di non passarla in conversazioni futili ma di dedicare questo tempo prezioso allo studio della Torà. Se una persona non riesce a rimanere sveglia per tutta la notte, è preferibile comunque studiare per alcune ore. Secondo alcuni le donne non hanno l’uso di rimanere sveglie a studiare. Chi non è andato a dormire per niente, la mattina dovrà fare la Netilàt Yadàim ma senza recitare la berakhà (secondo l’uso ashkenazita si recita la benedizione però se, prima della Tefillà, si è andati in bagno). Per quanto riguarda le altre berakhòt della mattina l’uso sefardita è di recitarle, comprese quelle sullo studio della Torà; gli ashkenaziti invece fanno in modo di sentirle da qualcuno che abbia dormito e in questo modo uscire d’obbligo (Shulchàn Arùkh, Orach Chayìm capp. 4, 46-47, 494 con commenti). E’ uso studiare, per chi vive nella Diaspora, anche la seconda notte di Shavuòt, anche se non è necessario rimanere svegli fino alla mattina.

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