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    L’Archivio Storico della CER racconta: la donna e la triste attualità dei documenti del passato

    L’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma (ASCER), una fonte eccezionale di informazioni sulla vita di Roma e su quella degli ebrei, conserva documenti che vengono dal passato ma narrano vicende di incredibile attualità.

    Oggi purtroppo si parla spesso di femminicidi e di donne abusate che non sempre riescono a reagire. Ebbene, nel periodo del ghetto a Roma non era raro che donne ebree fossero costrette a convertirsi, a rinunciare alla propria identità e spiritualità, per restare insieme ai loro figli che nel frattempo erano stati donati – questo è il termine usato nella documentazione – da un parente, vicino o lontano, neoconvertito al cristianesimo; altrimenti la donna poteva anche scegliere di restare nel ghetto mantenendo la propria identità, ma doveva rinunciare ai suoi figli.

    Le donne nubili del ghetto di Roma erano oltretutto costrette a partecipare alle prediche coatte (così chiamate nel significato originario del termine, ovvero “forzate”) in cui, a seconda del Papa regnante, gli ebrei dovevano ascoltare una volta a settimana, al mese, all’anno, sermoni che erano organizzati per “diradare le tenebre” che “offuscavano la [loro] mente”: “I Fattori dell’Università nel giorno di Sabato alle ore venti, e mezza manderanno alla Predica  che si farà nell’Oratorio della Santissima Trinità dei Pellegrini; e Convalescenti trecento Ebrei, nel qual numero vogliamo che siano compresi Cento Giovani dai dodici ai trent’anni in un Sabato e nell’altro cinquanta Zitelle della medesima età, accompagnate da altre Donne, o in altra forma, che stimeranno più opportuna, e conveniente. Tutti quelli, che al novero fissato innanzi la Predica si troveranno mancanti, pacheranno [sic] la multa di tre paoli ciascheduno, di cui saranno onninamente responsabili i nominati Fattori” (ASCER, Archivio Medievale e Moderno, False accuse, battesimi forzati e catecumeni, b. 1Tf, fasc. 9, Editto della Predica, 1823).

    Durante tali sermoni, se non mostravano attenzione, gli ebrei erano picchiati, per questo intervenne Rav Chizkiyà Tranquillo Vita Corcos, nato nel 1660 nel ghetto di Roma di cui fu rabbino capo dal 1702 al 1730. Egli si batté contro l’abitudine “abusata di tener sempre intimoriti gli Ebrei uditori con minacce, e Sgridi, anzi con bastonate, e percosse con poco decoro dell’istessa Chiesa, come se ivi fossero trattenuti a forza da sbirri, e catechizzati con minacce di Bastone, cosa direttamente contraria non solo alle suddette Costitutioni [sic] appostoliche [sic], ma ancora alle Dottrine di Santi Padri” (ASCER, Archivio Medievale e Moderno, False accuse, battesimi forzati e catecumeni, b. 1Ue, fasc. 8, “Si può senza sospetto d’errore…”, fine XVII sec.-inizi XVIII sec.). Rav Corcos era uno studioso versatile, si occupò Tamud, medicina, affari vari, ma si impegnò soprattutto a difendere gli ebrei dalle vessazioni a cui erano sottoposti, in particolare dalle calunnie da parte dei neofiti, gli ebrei convertiti, e dall’accusa di omicidio rituale secondo la quale gli ebrei, durante il periodo di Pesach, uccidevano i bambini cristiani per prenderne il sangue e impastare il pane azzimo (accusa assurda anche perché nell’ebraismo è assolutamente vietato mangiare sangue: “Però il sangue non mangerete: sulla terra lo verserai come l’acqua”, Dtr 12, 16, Parashà di Reè).

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