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    Quanto è importante un cognome

    Con una importante sentenza, la Corte Costituzionale “ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre. Nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome…. Pertanto, la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due.”

    La sentenza desta stupore, non tanto per il suo contenuto rivoluzionario rispetto a una prassi consolidata, ma per il ritardo con cui è stata emessa. Dopo decenni nei quali il principio costituzionale di parità uomo-donna è stato applicato in Italia in tutti gli ambiti, la regola del cognome paterno automatico appariva decisamente inappropriata. Ma nelle abitudini sociali vale spesso quella che è stata chiamata la “Legge dei lunghi periodi”, per cui determinati istituti sopravvivono molto più a lungo ai motivi che li hanno determinati anche se questi motivi non sono ormai rilevanti.

    È utile a questo punto fare un confronto con le regole ebraiche e valutare quale impatto questa decisione possa avere per noi. Va chiarito che il principio che regola la materia è fissato in modo esplicito nella Torà: fin dalle origini le persone sono classificate e ordinate “nelle loro famiglie nelle case dei loro padri”, una frase che nel primo e quarto capitolo del libro di Bemidbàr compare ben 17 volte. Quindi nel sistema ebraico tradizionale il cognome è quello paterno (come è sempre stato anche in Italia fino alla sentenza dell’altro giorno). Beninteso, il cognome c’è sempre stato nell’ebraismo, specialmente per determinate famiglie, ma il suo uso comune risale solo a pochi secoli fa, mentre è sempre stato importante indicare una persona con il nome del genitore. È indubbio che tutto questo sia legato a un sistema che potremmo definire patriarcale. Alle origini, questa regola era collegata al fatto che determinate condizioni passano da padre a figlio; in tempi remoti biblici era la proprietà della terra di Israele, divisa tra tribù e poi tra famiglie; più in generale la condizione di Cohèn -Levì- Israel. Il figlio di un uomo Cohèn è Cohen, il figlio di una donna Cohèn(et) avuto da un Israèl è Israèl, segue il padre e non la madre. 

    Qualcuno potrebbe chiedersi perché allora, se c’è una “prevalenza” maschile, si è ebrei nascendo da madre ebrea e non da padre. La risposta è che il sistema si basa su tre regole fondamentali: 1. Entrambi i genitori determinano lo status dei figli. 2. In condizioni normali lo status paterno prevale su quello materno. Comunemente e nei documenti ufficiali (matrimoni, divorzi, testimonianze, chiamate a sèfer) una persona è chiamata “x figlio/a di” e si nomina il padre; solo quando si prega per la salute di una persona si nomina la madre piuttosto che il padre. 3. La prevalenza della condizione paterna e la sua trasmissione ai figli è possibile solo se l’unione dei genitori è lecita, altrimenti la figura giuridica paterna si riduce fino ad annullarsi: se un Cohèn ha un figlio da una donna divorziata, alla quale gli è proibito unirsi, il figlio non sarà Cohèn; se un ebreo ha un figlio da una donna non ebrea, essendo questa unione proibita, non potrà trasmettere l’ebraismo al figlio, che eredita giuridicamente lo status materno. Parallelamente se la madre è ebrea e il padre no, il figlio sarà ebreo come la madre.

    Da tutto questo si deduce che il cognome assegnato a una persona secondo la legge civile (anche prima della sentenza della Corte) è puramente indicativo e non vincolante; un “Mosè Coen” potrebbe non essere nè Cohèn nè ebreo; un “Cristiano Dalla Chiesa” (nome messo qui a caso) potrebbe essere ebreo se lo è la madre.

    Insomma: la riforma prodotta dalla decisione della Corte non cambia le regole interne ebraiche, al massimo potrà portare un po’ di confusione, ma qualche volta invece sarà persino utile per mettere in evidenza una madre ebrea. Nelle registrazioni delle anagrafi comunitarie ad uso interno e per certificazioni autorizzate si continueranno a segnare, come sempre, i nomi di entrambi i genitori. Se una coppia chiederà suggerimenti su come scegliere il cognome dei figli, consiglieremo di seguire la regola tradizionale.

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