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    Acharè Mot: Davanti alla Presenza divina non c’è grandezza

    La prima parte di questa parashà tratta del servizio che il Kohèn Gadòl [il sommo sacerdote] doveva fare nel giorno di Kippur. Questo era il solo giorno dell’anno nel quale il Kohèn Gadòl poteva entrare nella parte più sacra del Bet Hamikdàsh davanti all’Aròn Hakòdesh [l’arca santa] che conteneva le tavole della legge per fare ardere il ketòret [il profumo]. 

                La parashà inizia con un’avvertenza: “L’Eterno parlò a Moshè dopo la morte dei due figli di Aharon che si erano avvicinati [senza autorizzazione] alla Presenza divina [con il profumo] ed erano morti. L’Eterno disse a Moshè  di parlare con Aharon suo fratello [e di dirgli] di non venire in qualsiasi momento nella parte del Mikdàsh all’interno della cortina di fronte alla copertura dell’Aròn, cosicchè non muoia, perché la Presenza divina appare sopra la copertura dell’Aròn” (Vaykrà, 16:1-2).  

                La Torà prosegue con le istruzioni sul servizio che Aharon, quale Kohèn Gadòl, doveva espletare durante il giorno di Kippur. Oltre al servizio speciale per il giorno di Kippùr che il Kohèn Gadòl svolgeva con quattro capi di vestiario di lino bianco chiamati “i vestimenti bianchi” (pantaloni, tunica, cintura e turbante), egli doveva svolgere anche il servizio quotidiano come per ogni altro giorno dell’anno, che veniva effettuato con otto capi di vestiario, chiamati i “vestimenti dorati”. Questi otto vestimenti includevano i quattro citati sopra e altri quattro che avevano nel tessuto dei fili d’oro. Essi erano: 

                Il chòshen: un pettorale fatto a maglia con cinque tipi di filo: oro, lana di colore tekhèlet, [colore azzurro estratto da un mollusco], lana di colore argamàn [comunemente tradotto rosso porpora],  lana di colore tolà’at shanì [comunemente tradotto scarlatto] e lino ritorto (Shemòt, 28:15). Quando veniva piegato in due era di dimensioni quadrate di una spanna ed era piazzato di fronte al cuore. Aveva dodici comparti di quattro file di tre ciascuna. In ogni fila vi erano dei castoni d’oro con quattro pietre preziose sulle quale erano incisi i nomi delle dodici tribù d’Israele. 

                l’efòd: una specie di grembiule che si vestiva dalla schiena, largo come le spalle di un uomo e anche qualcosa di più e scendeva fino alle caviglie.  

             il me’ìl:  un manto fatto interamente a maglia di lana di colore tekhèlet al di sotto dell’efòd. Aveva un’apertura circolare per inserire la testa e scendeva sul davanti e sul di dietro e terminava con quattro angoli come un piccolo tallìt. Sul bordo inferiore c’erano settantadue campanelline d’oro, trentasei da una parte e altrettante dall’altra, alternati a melagrani di lana di colore tekhèletargamàn e tolà’at shanì

                Il tzitz: una placca d’oro sulla fronte del Kohèn Gadòl sulla quale vi erano incise le parole Kòdesh la-Shem, sacro all’Eterno (Shemòt, 28:1-39).  

                Al fine di poter fare sia il servizio prescritto per ogni giorno sia quello prescritto per il giorno di Kippur, il Kohèn Gadòl nel giorno di Kippur doveva cambiare più volte i suoi vestimenti. Il motivo per cui il servizio di Kippur doveva essere fatto con i semplici vestimenti bianchi e non con quelli splendidi con i fili d’oro, viene spiegato da Rashì (Troyes, 1104-1105): “Un accusatore non può diventare un avvocato difensore” (ibid., 16:4). L’oro sta in accusa ad Aharon perché aveva preso l’oro del popolino e l’aveva gettato nella fornace ed era venuto fuori il vitello d’oro. 

                R. Joseph Pacifici (Firenze, 1929-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 125) suggerisce una spiegazione addizionale. In ogni giorno dell’anno il Kohèn Gadòl fa il servizio con tutti gli otto vestimenti che comprendono quelli con i fili d’oro perché è scritto che essi devono essere simbolo della sua grandezza rispetto agli altri kohanìm suoi fratelli. Nel giorno di Kippur invece il Kohèn Gadòl doveva fare il servizio davanti all Presenza divina e davanti all’Eterno non c’è grandezza. 

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