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    Storie italiane della Brigata Ebraica

    L’impatto della Brigata Ebraica sull’ebraismo italiano è stato per decenni sottovalutato, troppo spesso relegato al ricordo di tanti singoli correligionari. Probabilmente le comunità ebraiche erano troppo prese dalle difficoltà pratiche del Dopoguerra prima, e dal ricordo della Shoah dopo, per rilanciare queste splendide pagine di storia. Ma negli ultimi decenni, grazie al sempre più diffuso amore per Israele e per il sionismo delle Comunità ebraiche italiane, anche questo è cambiato: dal 2004 infatti, i rappresentanti dell’ebraismo italiano partecipano ai cortei del 25 aprile sotto le insegne della Brigata Ebraica.

    Ma partiamo dall’inizio. Da uno sconosciuto paesino della Calabria. Più precisamente dal campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza. Dove a seguito delle leggi razziali gli ebrei non italiani furono imprigionati prima degli altri correligionari. Fu in questo luogo di costrizione, dove comunque era permesso pregare con tanto di rotoli della Torah, che nasce una delle storie più curiose legate alla Brigata Ebraica. Con la risalita degli Alleati e la liberazione di quel campo, infatti, l’intero Aron ha Kodesh (armadio sacro) fu portato dai soldati delle compagnie ebraiche dell’esercito britannico sempre più su – città dopo città –  fino a Milano. Qui ebbe una seconda vita, dopo il 25 aprile del 1945. Dove? La storia è talvolta ironica, e infatti il Comitato di Liberazione Nazionale concesse alla comunità ebraica l’ex sede dei Fasci di Combattimento (sezione Amatore Sciesa) in via Unione 5, dove sorse la prima sinagoga milanese del dopoguerra. Il rabbino del nuovo Bet Ha Midrash milanese fu Rav Frostig Adler, che aveva svolto la stessa funzione nella sinagoga del campo di Ferramonti. Fu l’unico tempio di Milano per qualche anno, fino a quando la sinagoga di via Guastalla fu restaurata. I rotoli della Torah furono portati dal rabbino di Genova, Pacifici. 

    Prima di Milano però, vale la pena raccontare le tappe cronologicamente precedenti. L’incontro degli ebrei romani con soldati provenienti dalla terra di Sion è rimasto un ricordo vivido e struggente, che data al giugno del 1944. Quando i combattenti ebrei palestinesi entrarono nella sinagoga di Roma portando la stella di Davide, furono in molti a commuoversi e non credere ai propri occhi. A proposito della presenza di combattenti ebrei a Roma, il soldato Yaacov Foa racconta: 

    “Ci fu reso noto che a Roma e nei dintorni si erano organizzati giovani ebrei sotto la guida di soldati venuti dalla Palestina prima di noi. Molti di loro erano sopravvissuti alle persecuzioni, alle razzie dei nazi-fascisti, erano stati colpiti duramente dalla perdita dei loro cari. Essi stavano cercando una soluzione per la vita: inserirsi nei tentativi di ricostruire una Italia nuova o partecipare agli sforzi di realizzare il sogno di rinsaldare il focolare ebraico in Eretz Israel, insieme alle migliaia di ebrei profughi che cominciavano ad arrivare in Italia dai campi di concentramento e di sterminio […] I soldati che ci avevano preceduto aiutarono in tutte le maniere […] organizzarono riunioni, lezioni di ebraico, ma anche sistemarono posti di rifugio, di raccolta, scuole, case per bambini rimasti senza famiglia.”

    Per quanto riguarda Napoli, la storia è ancora più curiosa: visto che le prime truppe di soldati sionisti palestinesi sbarcarono addirittura nel settembre 1943, e i volontari della 739esima e della 745esima compagnia costruirono ben tre ospedali militari nella città. I volontari sionisti si spesero molto per prestare assistenza ai profughi e il loro ricordo rappresenta ancora una forte emozione in chi li ha incontrati.

    Come è giusto, chiudo questo pezzo con un po’ di ironia ebraica, ringraziando chi ci contesta ogni 25 aprile: grazie alle loro azioni tutti i media hanno dovuto spiegare la storia dei soldati della Brigata, aiutandoci in un’opera di divulgazione altrimenti assai difficile. 

     

    Davide Riccardo Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica

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