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    “Ho visto crescere questa Europa. La nostra forza è l’unità” – Intervista a Tatiana Bucci

    La guerra in corso in Ucraina ha messo a dura prova le convinzioni di tutti noi. Una situazione tragica che giorno dopo giorno sembra non cessare. Civili in fuga verso un futuro incerto, equilibri geopolitici che si mescolano. Un’Europa che cambia volto. E tanti, tanti morti. «Io l’ho vista crescere questa Europa, che spero rimanga unita davanti alla devastazione in atto» racconta Tatiana Bucci, che assieme a sua sorella Andra, è sopravvissuta da bambina all’inferno di Auschwitz – Birkenau. Tatiana, con una madre ucraina fuggita dai pogrom, è nata a Fiume, e dopo la Shoah ha vissuto a Trieste, nel cuore di un’Europa in cui le città cambiavano nome e bandiera. «Nulla è paragonabile alla Shoah. Ma siamo davanti ad una grande tragedia, ad un’invasione, e ai civili, i bambini che soffrono e muoiono», sottolinea Tatiana, che Shalom ha intervistato.

     

    Sua madre è nata in Ucraina, ha mai raccontato a lei e sua sorella di quei luoghi?

     

    Mia mamma si trasferì dall’Ucraina a Fiume, che adesso si trova in Croazia e che prima era una città italiana. Dalla fine della Seconda guerra Mondiale Fiume cambiò il suo nome e oggi si chiama Rijeka. È arrivata lì che aveva solo due anni, e non ricordava molto bene il luogo in cui era nata. Mia madre era solita dire che il paese in cui era nata era vicino a Kiev. Andra ed io pensiamo che probabilmente si trattasse di uno Shtetl, sappiamo che lì c’era stato un Pogrom e probabilmente, alla luce del clima che si profilava all’orizzonte per gli ebrei, la famiglia di mia madre decise di trasferirsi, assieme ad altri parenti. Arrivarono a Fiume nel 1910 che all’epoca era ancora sotto l’impero Austro- Ungarico. Scelsero Fiume perché pensavano che qualora ci fossero stati altri problemi avrebbero potuto scappare tramite il mare. Con Andra abbiamo spesso cercato questo villaggio dove abitava nostra mamma ma con scarsi risultati. Spero che se questa situazione si placherà potremo andare in Ucraina per cercare di reperire qualche informazione in più sulla nostra famiglia.

     

    Dunque, lei ha visto l’Europa cambiare nel corso della storia, e adesso vive a Bruxelles.

     

    Se dovesse cambiare ancora, io spererei che l’Europa, intesa come Unione Europea, cambi in meglio e cerchi di restare quanto più coesa possibile. Io mi sento molto europea, l’ho vista crescere questa Europa, piena di speranze. Forse paradossalmente la guerra in Ucraina ha reso l’Europa più coesa di com’era prima di questa situazione.

     

    Stiamo assistendo ad un’indignazione crescente delle Comunità ebraiche che sentono avanzare paragoni tra l’attuale guerra in Ucraina e la Shoah.

     

    Ho sentito ciò che ha detto il Presidente Zelensky ieri alla Knesset, e credo che non si possa far alcun paragone con la Shoah. Il dato di fatto drammatico, al di là degli improbabili paragoni, è che in Ucraina la gente sia perseguitata e obbligata a scappare. Credo che Zelensky abbia utilizzato il paragone come provocazione. È un uomo che chiede aiuto, per come vedo le cose io. Credo comunque che sia un Presidente molto coraggioso. Avrebbe potuto prendere armi, bagagli e famiglia e fuggire via invece ha scelto di restare e combattere, e questo non è da tutti.  Zelensky è un Presidente coraggioso. Quello che più mi ha scandalizzato, nei mesi precedenti a questa situazione, è stato il continuo paragone con la Shoah da parte dei No Vax. L’ho trovato davvero gravissimo. Paragoni del genere non possono esistere.

     

     

     

    Cosa possiamo fare oggi davanti a tanta sofferenza e alle immagini di bambini disperati che vivono la guerra?

     

    Non so cosa potremmo fare di concreto. Facciamo manifestazioni, raccogliamo soldi e vestiti. Giusto qualche ora fa ho ricevuto da parte di una mia amica qui in Belgio un messaggio per mobilitarci e aiutare chi è lì. Ed effettivamente la domanda sorge spontanea: noi cosa possiamo fare? Purtroppo, credo che tutto dipenda dai politici, noi possiamo manifestare ma non so quanto la nostra voce sia ascoltata.  Questa guerra riguarda tutti noi.

     

    Assistiamo ad un vero e proprio esodo di persone che fuggono dall’Ucraina e raggiungono altre città europee in cerca di salvezza.

     

    Io stessa dopo la Shoah dovetti affrontare un altro esodo spostandomi da Fiume a Trieste. Del resto, però io e mia sorella non subimmo un grande trauma nei confronti di questo spostamento, non sentivamo Fiume come casa nostra.  Paradossalmente sento più oggi Fiume come casa mia. Per noi l’esodo non fu la parte difficile della storia, con quello che avevamo passato lì… (Auschwitz ndr): mio papà aveva trovato lavoro grazie al comandante del porto inglese, era un cuoco pasticcere. Fui fortunata perché non dovetti andare in un campo profughi. I campi profughi di oggi ahimè non sono molto diversi da quelli del passato.

     

    Quale è la sua visione del futuro?

     

    Da come dicono i giornali Putin si aspettava una guerra rapida, con una resa immediata del popolo ucraino. Tuttavia, gli ucraini resistono, si proteggono e non hanno intenzione di lasciare la propria terra. La verità è che è difficile lasciare la propria terra, siamo legati al luogo in cui nasciamo e viviamo e dobbiamo sempre difendere i nostri diritti, senza avere paura. Non so cosa accadrà, vedo bombe su ospedali e scuole, e mi sembra che il peggio sia già stato raggiunto. È qualcosa di inammissibile. È doveroso ricordare quello che l’Ucraina fece agli ebrei durante la Shoah: molti cittadini collaborarono alle persecuzioni degli ebrei. Ma siamo ancora qui, e questo significa qualcosa. Forse siamo pochi, ma resistiamo e continueremo a resistere. Forse è anche perché mia madre era ucraina ci sentiamo molto colpite da tutto questo, e ripensando a quello che lei ha passato, mi rendo conto che è stata una donna davvero forte. Una forza che le veniva anche dalle sue radici.

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