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    Dieci anni dalla strage di Tolosa. Ricordo e riflessioni

    Il 19 marzo 2012 sembra un giorno come tutte gli altri alla scuola ebraica Ozar Hatorah, un edificio moderno di mattoni con ampie vetrate, che si trova in un quartiere periferico a nordest di Tolosa. Sono le 8 di mattina. Dei ragazzi e alcuni professori stanno entrando nell’atrio. La scuola è a ciclo integrale, vi sono anche bambini piccoli. Tutto sembra tranquillo e normale. Ma dalla strada arriva uno scooter Yamaha. A bordo un uomo, il volto coperto dal casco, che porta sul petto una videocamera da ripresa. È armato con una pistola, apre immediatamente il fuoco in direzione della scuola. La prima vittima è un professore e rabbino di trent’anni, Jonathan Sandler, che si è frapposto fra il fuoco e i suoi figli, Gabriel di tre anni e Ariel di sei. Sono uccisi a bruciapelo anche loro, accanto al padre. Il killer poi entra nel cortile dove tutti cercano di fuggire e insegue Myriam Monsonégo, di otto anni, figlia del preside della scuola, Yaakov Monsonégo. La raggiunge, le spara alla spalla, la afferra per i capelli raccolti in una coda di cavallo e le punta alla tempia la pistola, che però si inceppa. L’assassino allora cambia arma, tira fuori un’altra pistola e spara alla ragazza alla testa a distanza ravvicinata. Poi torna al suo scooter e fugge via, ma prima di andarsene ferisce gravemente Aaron “Bryan” Bijaoui, di quindici anni e mezzo.

     

    Scatta la caccia all’uomo. Si scopre che le stesse armi e lo stesso scooter erano state utilizzate nei giorni precedenti per l’uccisione di tre soldati, uno a Tolosa e uno a Montauban, un comune poco lontano. La polizia arresta prima tre militari estremisti di destra, che si rivelano però estranei ai fatti, e finalmente, quasi per caso, identifica l’assassino come Muhammed Merah, cittadino francese di origini algerine di 23 anni. L’operazione per catturarlo è condotta male, un assalto notturno non riesce ad abbattere la porta, l’assassino spara, dopo più di trenta ore d’assedio c’è un nuovo scontro a fuoco in cui due poliziotti sono feriti e Merah è ucciso mentre cerca di fuggire saltando giù dal balcone del suo appartamento.

     

    All’inizio le autorità e la stampa parlano di un attacco di un “lupo solitario”, ma poi viene fuori che Mohammed Merah era noto alla polizia per vari atti di delinquenza che lo avevano portato in carcere ed era stato segnalato ai servizi di intelligence dopo i suoi viaggi, in particolare in Afghanistan e Pakistan, durante i quali avrebbe acquisito una formazione nel maneggio delle armi, e il suo passaporto attestava numerosi viaggi in paesi arabi e musulmani (Siria, Giordania, Libano, Iran, ecc.). Gli omicidi di Tolosa e Montauban sono rivendicati dall’organizzazione Jund al-Kilafah (Soldati del Califfato), affiliata ad Al-Qaeda. Il comunicato chiama l’assassino Youssef-al-Firansi (Youssef il francese), soprannome che, verrà fuori, era quello che usava durante il suo “periodo di istruzione” nei paesi islamici. Tutte cose che i servizi di sicurezza sapevano: Merah era classificato fra gli estremisti pericolosi, ma non era più sorvegliato da tempo né gli erano state applicate misure di prevenzione. La spiegazione allucinante è che ce ne sono troppi come lui per poterli seguire.

     

    I parenti delle vittime chiedono perché la sorveglianza nei suoi confronti fosse stata sospesa, come mai Merah avesse un giubbotto antiproiettile in uso alla polizia, di quali complicità abbia goduto, oltre a quella evidente di suo fratello, che in seguito è stato condannato per concorso nella strage. È seguita una polemica molto dura fra la comunità ebraica e i vertici dello stato, una richiesta delle famiglie per un’inchiesta parlamentare, mai avvenuta, l’intervento di Netanyahu ai funerali che indicava un’insufficienza nella lotta all’antisemitismo nella società francese in polemica col presidente francese Hollande, la scelta delle famiglie di seppellire le vittime non in Francia ma in Israele.

     

    Di fronte a un crimine così orrendo, ogni commento è superfluo e inadeguato al ricordo e al lutto. Tuttavia, alcune cose non possono essere taciute. In primo luogo, la Francia, che ha la più vasta comunità ebraica d’Europa, è anche il luogo in cui hanno avuto luogo i crimini più orrendi nei confronti degli ebrei, e con maggiore continuità negli ultimi decenni. Dopo gli attentati alla sinagoga di Rue Copernic (1980, 4 morti) e quella del ristorante kasher di Rue de Rosiers (1982, 8 morti), ci sono stati gli attacchi a cinque sinagoghe in occasione della festa di Pesach nel 2002, l’assassinio di Ilan Halimi nel 2006, la strage di Tolosa del 2012, l’attacco al Hyperkasher del 2015 (4 morti), l’uccisione di Sarah Halimi del 2017, quello di Mireille Knoll del 2018 – solo per citare gli episodi più importanti. In tutti questi casi erano coinvolti islamisti, e si è dovuta constatare per un verso o per l’altro un’inefficienza delle autorità (polizia, servizi segreti, giudici) nella prevenzione e nella repressione, nonché una riluttanza di politici e intellettuali a riconoscere la loro origine antisemita. Insomma, a differenza di quel che finora è accaduto in Italia nonostante i giusti sospetti sul “lodo Moro”, in Francia gli attacchi agli ebrei sono continuati nel tempo e non sono stati isolati dall’opinione pubblica né sufficientemente prevenuti dalle autorità, probabilmente anche per l’influenza politica della grande immigrazione araba e la conseguente paura di apparire “islamofobici”. La lezione di Tolosa è anche che il caso francese va studiato come un esempio negativo di uno Stato che, al di là delle altisonanti dichiarazioni sui diritti, non sa o non vuole difendere adeguatamente i suoi cittadini bersaglio di odio islamista, in particolare, ma non solo, gli ebrei.

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