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    La magia della leggerezza – Intervista al regista Alessio Maria Federici

    Classe ’76 romano nel cuore, Alessio Maria Federici, ha più di 16 anni di carriera come regista. Si considera uno shooter più che un regista ma i suoi film, che spaziano dalla commedia esilarante a quella romantica, hanno conquistato il pubblico italiano da anni. Ha lavorato con i più importanti volti della recitazione e della comicità nostrana, impossibile non aver visto almeno uno dei suoi film, ma soprattutto ha portato sul grande schermo la voglia di leggerezza e di sorridere. Una leggerezza che non fa rima con superficialità, anzi tutto il contrario, ma con voglia di strappare un sorriso, talvolta amaro o ironico, al suo pubblico. Lo abbiamo intervistato in seguito all’uscita del suo film” 4 metà”, con Ilenia Pastorelli, Matilde Gioli, Giuseppe Maggio e Matteo Martari, disponibile su Netflix e già in classifica tra i top 10 film più visti della piattaforma. E non solo in Italia. Due storie d’amore piene, che si incontrano si scontrano, sovrapponendosi tra le difficoltà e le gioie del caso. Un racconto che fa emozionare e riflettere sull’esistenza del fato e sull’idea che davvero possa esistere un’anima gemella per ognuno di noi. Tra le scene più coinvolgenti della pellicola, un tipico Jewish wedding, con musiche e balli tradizionali, funge da scenario perfetto per il primo appuntamento di due dei protagonisti.

     

    Lei è un regista prevalentemente di commedie, spesso romantiche. Perchè?

     

     Partiamo dal presupposto che io non mi sento un regista, bensì uno shooter, le cose che vedo o i libri che leggo prima di andare a dormire sono le immagini e le istruzioni per la macchina da presa dei miei film. Il mio sogno è girare “uno di tutto” dal giallo alla commedia, qualsiasi genere. E infatti ho molti progetti in cantiere. È pur vero però che con la commedia mi ritrovo di più rispetto ad altri generi. Sembra semplice ma in realtà anche sorridere ed emozionare è difficile, è tutta questione di equilibrio. Forse perché sono stato, come tutti del resto, parecchio chiuso dentro casa ma ho capito forse per la prima volta che potevo raccontare delle storie reali, umane. La difficoltà maggiore è stata l’aver dovuto costruire e preparare otto personaggi, e non quattro personaggi, proprio perché queste storie d’amore si sovrappongono in un certo senso.

     

    In una delle prime scene del suo film due dei protagonisti si ritrovano ad un matrimonio ebraico, come mai questa scelta?

     

    Fondamentalmente avevo bisogno di una festa in cui c’erano balli e si creavano situazioni nel quale uomini e donne fossero divisi. Mi piacevano i balli tipici dei matrimoni ebraici, se avessi scelto un altro tipo di matrimonio non sarebbe uscita una scena così “partecipata”, sarebbe stato il solito evento un po’ statico con la gente a sedere. Ho molti amici di religione ebraica e io stesso ho partecipato a molti eventi come matrimoni o Bar Mitzvà; dunque, oltre che una bella atmosfera mi è sembrato qualcosa di davvero funzionale per la scena. Rendeva l’incontro tra i due personaggi molto più magico per la narrazione.

    Nel suo film “4 metà” tra i protagonisti della storia c’è anche una grande protagonista: Roma. Con i suoi luoghi simbolici, è un caso o aveva studiato una narrazione del genere?

     

    Alcuni luoghi di Roma hanno il potere di diventare simboli, quasi involontariamente. Essendo romano mi viene quasi normale immortalare i luoghi che vivo e vedo da tutta la vita. Il movimento del fiume, che accompagna alcune scene del film, è un po’ lo stesso movimento che ho visto tutta la vita, e che vedo ogni mattina quando accompagno i miei figli a scuola.  Il film in questione è stato infatti girato con una tecnica particolare, un nuovo mezzo: “Trinity”, una sorta di macchina da presa attaccata ad un bastone che segue proprio i protagonisti, permettendo inquadrature e movimenti perfetti, questo ha fatto sì che sia data una certa struttura ai personaggi e ai luoghi, senza allontanarsi mai dalla narrazione. Il film è stato inoltre girato durante il Lockdown quindi anche la città si è prestata molto.

     

    La comicità è l’ingrediente principale dei suoi film. Ha mai preso ispirazione dalla comicità ebraica nota per essere molto autoironica?

     

    Più che la comicità qualcosa da cui ho preso ispirazione è sicuramente la serialità israeliana. Credo che serie come Fauda possano essere considerate tra le più belle di Netflix. Doron, il protagonista, è un personaggio di casa per me. Ho preso davvero molte tecnicità dal loro modo di fare serie. Non solo il livello tecnico della serialità ma il modo in cui i produttori sono riusciti a far crescere il prodotto stagione dopo stagione credo sia qualcosa di straordinario. La grande qualità è stata proprio quella di mandare avanti il racconto senza annoiare. C’è veramente una notevole dinamica narrativa. In generale credo che tutti i comici abbiano molto “rubato” qualcosa dalla comicità ebraica, e più in particolare quella del ghetto, sagace ma simpatica, in grado però di far riflettere. Pensiamo a Verdone, ad esempio, cresciuto proprio in quelle zone di Roma. Ritornando alle serie israeliane credo che in questo senso rappresentino un prodotto davvero notevole e in crescita. Mia moglie spesso le guarda in lingua originale, e per me quella litania è qualcosa di davvero speciale che mi rievoca ricordi d’infanzia. Ho ricevuto un’educazione religiosa e mi ricordo che quando ero più piccolo mia madre mi aveva fatto fare un corso di ebraico, proprio nell’edificio della sinagoga di Roma, non ricordo moltissimo ma quella lingua, quando l’ascolto è ancora molto evocativa.

     

    La pandemia ha cambiato molte cose, e purtroppo per molto tempo i cinema sono stati chiusi, in questo modo si sono usate molto di più le piattaforme streaming come Netflix o Prime Video. Pensa che a lungo raggio questo possa cambiare il rapporto con il cinema?

     

    Per molto tempo il cinema è stato chiuso, e successivamente era rischioso andarci. Così abbiamo passato molto più tempo a casa utilizzando molto di più le piattaforme streaming. Penso in realtà che bisogna rimanere equilibrati. Il mio film doveva inizialmente uscire al cinema, ma Netflix ha permesso al prodotto una maggiore visibilità, in questa maniera la pellicola è arrivata in 50 paesi, con più di 16 milioni di visualizzazioni. Senza contare dalle prime settimane della sua uscita è stato secondo in classifica dei film più visti di Netflix, il tutto accanto a prodotti cinematografici che costavano milioni. Il film è esploso proprio grazie alla piattaforma. Tuttavia, penso che la magia della sala sia unica, la situazione che si crea guardando un film al cinema è qualcosa di speciale. La situazione cinema è preoccupante si, ma non bisogna demonizzare la piattaforma. Il pubblico è cambiato, ma dobbiamo pensare che oggi possiamo finalmente raccontare le nostre storie e non più quelle degli altri, perché qualcuno dall’altra parte del mondo potrà vederle.

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