“I Rabbini trovano sempre una soluzione”. Questo deve aver pensato una mattina del 1973 la vedova dello scultore Jacques (Chaim Jacob) Lipchitz dopo una conversazione con il Rebbe Lubavitch, caro amico e confidente del marito.
Lipchitz (1891-1973) era morto improvvisamente a Capri lasciando in sospeso una serie di lavori tra cui un’imponente scultura da realizzare sul Monte Scopus a Gerusalemme, per cui aveva preparato febbrilmente molti bozzetti e disegni. Yulla Halberstadt, moglie di Lipchitz, anch’essa scultrice, aveva deciso di completare il monumento per onorare la memoria del marito. C’era però un elemento nella scultura che i committenti credevano esterno alla tradizione ebraica e per questo si era rivolta al Rebbe: come potevano nell’opera convivere Abramo, Isacco, Giacobbe e Mosè con una Fenice stilizzata?
La realizzazione della scultura era a rischio per questo il Rabbino si era preso del tempo per riflettere sul da farsi, poi aveva aperto il libro di Giobbe al capitolo 29 dove è scritto: “Moltiplicherò i miei giorni come il Chol”, spiegando alla vedova che una delle interpretazioni della parola “Chol” è quella di un uccello che dopo mille anni muore e poi torna a vivere dalle sue ceneri.
È probabile che l’artista non si sia interrogato sulla natura ebraica dell’animale, associandolo intuitivamente alla capacità del popolo ebraico di sopravvivere e rinnovarsi nonostante le avversità. La soluzione trovata per supportare la realizzazione del monumento ci suggerisce che a volte le risposte che cerchiamo esistono, è solo che non le conosciamo ancora.