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    Gli ebrei piemontesi dalla tolleranza alla libertà

    In occasione della mostra “1849-1871 Ebrei di Roma tra segregazione e d emancipazione”, mercoledì 15 dicembre si svolgerà un incontro zoom organizzato dal MEIS dal titolo “Ebrei e Risorgimento tra Carlo Alberto e Pio IX” in cui interverrò con Giorgia Calò e Olga Melasecchi per presentare una pagina importante della recente storia ebraica e italiana: il cammino degli ebrei verso l’uguaglianza e verso la libertà negli anni immediatamente precedenti e seguenti lo Statuto Albertino. Racconterò, attraverso i documenti e le testimonianze, il vivace dibattito che si svolse tra le comunità e il governo sabaudo a partire dal 1845 per giungere ai provvedimenti legislativi promulgati nella prima metà del 1848 da Carlo Alberto e proporre i sentimenti degli ebrei piemontesi che vissero l’abbattimento dei cancelli del ghetto, la possibilità di accedere alle scuole pubbliche, alle libere professioni e al servizio militare. 

    La Restaurazione riportò gli ebrei che vivevano nello Stato Sabaudo alla precedente condizione d’inferiorità, che il rabbino Cantoni definì «una specie di civile infamia», ciò non li indusse però a palesi fenomeni d’insoddisfazione né a fermenti rivoluzionari, ma ad aspirazioni di «benevoli» interventi regi di emancipazione. Il timore, quale minoranza, nel complesso inserita nel tessuto economico e sociale cittadino, era di perdere con la protesta una condizione non disprezzabile. La Comunità fu in quegli anni prudente e sospettosa, indirizzata su tale atteggiamento dal rabbino e dai notabili locali, ispirati piuttosto da una paziente e fiduciosa aspettativa. 

    All’inizio del 1845 la Comunità Generale del Piemonte promosse la creazione di una Commissione speciale che provvedesse a ottenere un miglioramento della condizione giuridica degli ebrei nello Stato sabaudo. Alla fine del 1847, infatti, il clima riformistico che prendeva corpo in alcuni significativi provvedimenti sabaudi poteva lasciar trapelare una buona disponibilità del re e del Governo a procedere a una equiparazione di tutti i sudditi, senza distinzione di religione.

    A Casale fra il 30 agosto e il 2 settembre 1847 l’imponente riunione del primo congresso dell’Associazione agraria aveva dato modo di constatare la consistenza del movimento liberale, nel quale sia i democratici che i moderati si erano pronunciati per l’emancipazione degli ebrei e dei valdesi. Significativamente il democratico Riccardo Sineo, fu incaricato alla fine del 1847 dalla Commissione speciale israelitica di redigere un apposito memoriale da presentare al re, mentre il moderato Massimo d’Azeglio, pubblicò pochi mesi dopo a Firenze l’opuscolo a favore dell’Emancipazione degli Israeliti.A sua volta Roberto d’Azeglio aveva nel frattempo avviato una pubblica petizione al re, che avrebbe ottenuto le firme di oltre 600 liberali piemontesi, fra cui 65 ecclesiastici, per porre fine alla «ingiusta esclusione» degli ebrei. 

    Il 17 febbraio 1848 Carlo Alberto emanava le lettere patenti di emancipazione dei valdesi: in quella «specie di civile infamia» di cui palava il rabbino torinese Cantoni restavano unicamente gli ebrei. Le pressioni degli Stati riformisti – e dei loro ambasciatori alla Corte torinese – potevano avere affrettato questo provvedimento, mentre quello sugli israeliti non godeva di altrettanto potenti fautori e anzi poteva trovare prevenzione in certi ambienti cattolici o tradizionalisti e quindi finiva col seguire un percorso più lento e tortuoso. Certo, però, i valdesi ora godevano dei diritti civili e politici degli altri abitanti cattolici, gli ebrei no. L’attesa si protraeva, tra voci di corridoio fiduciose, ma pure col dubbio dell’inerte silenzio addirittura oltre la concessione della stessa costituzione, emanata col nome di Statuto il 4 marzo 1848. Qui era naturalmente annunciato all’art. 1 che unica religione di Stato era la cattolica, senza accettazione della libertà religiosa. L’emarginazione israelitica restava, nonostante la nuova costituzione.

    Di fronte alle manifestazioni di giubilo per la nuova carta costituzionale, le Comunità ebraiche non potevano che essere perplesse, se non preoccupate, per il mancato riconoscimento delle loro aspettative, ma si auguravano peraltro tenacemente di vederle coronate da successo, grazie ad un altro provvedimento speciale che affiancasse dello Statuto. Nel frattempo la rivolta antiaustriaca nel Lombardo-Veneto aveva reso ancora più incandescente la situazione politica. Il 23 marzo il Regno di Sardegna dichiarava la guerra all’Austria e le sue truppe varcavano il Ticino. Nonostante la delusione per la mancata emancipazione, l’Università israelitica del Monferrato volle fare un significativo gesto di appoggio alla guerra «nazionale» e di collaborazione con tutta la popolazione locale, decidendo di prendere in prestito la somma occorrente all’acquisto di 80 sacchi di meliga da distribuire subito in città e nel territorio alle famiglie povere dei soldati chiamati alle armi, ricevendo il 24 marzo il conseguente ringraziamento degli amministratori cittadini.

    Finalmente il 29 marzo 1848 Carlo Alberto, dal quartier generale di Voghera, emanava il decreto di emancipazione degli israeliti, simile nella sostanza a quello anteriore predisposto per i valdesi. 

    La libertà religiosa, “quel duro nocciolo primitivo dal quale scaturisce tutta la teorica dei diritti di libertà” secondo la definizione di Francesco Ruffini, era dopo secoli conquistata: gli ebrei non erano più un corpo estraneo, “sudditi stranieri” ma cittadini pienamente capaci.

    Per commemorare in perpetuo l’anniversario dell’emancipazione a Casale si deliberò di incaricare il rabbino Levi Gattinara di comporre un’iscrizione ebraica e italiana da murare nel Tempio. Accanto a numerosi passi tratti dal Libro dei Salmi, la storia della comunità è raccontata dalle lapidi della sua Sinagoga. In Italia non esiste altro luogo di culto in cui gli ebrei hanno voluto tributare una forte riconoscenza al sovrano che li aveva affrancati. Ecco il testo della lapide, così eloquente: «1848. Il 29 marzo / Re Carlo Alberto e il 19 giugno il Parlamento nazionale decretavano i diritti civili e politici agli Israeliti subalpini / acciocché scordate le passate interdizioni / nell’uguaglianza e nell’amor patrio crescessero liberi cittadini / a perpetua ricordanza gli Israeliti Casalesi».

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