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    Il Lodo Moro e le domande che ritornano

    Tra i tanti misteri della prima Repubblica, il Lodo Moro è quello che colpisce di più. Il presunto scambio di pace coi palestinesi liberi di girare in Italia negli anni di piombo in cambio di una sorta di immunità dagli attentati dimostra il provincialismo e l’ingenuità italiana. Ma anche una certa malafede a non considerare gli ebrei, esclusi dal cosiddetto patto, cittadini italiani a nemmeno 40 anni dal rastrellamento del ghetto di Roma. Secondo le rivelazioni del Riformista, la mattina del 9 ottobre del 1982, giorno dell’attentato alla Sinagoga, il governo e i servizi sapevano ma non fecero nulla per proteggere la comunità di Roma. Tradotto: non fecero nulla per fermare l’attentato.


    L’anomalia di non considerare gli ebrei cittadini italiani a tutti gli effetti andrà avanti per molto ancora e proseguirà fino al 2012 quando l’allora presidente Giorgio Napolitano inserirà Stefano Gaj Taché, un bambino di appena due anni, nelle vittime del terrorismo e consegnerà alla famiglia la medaglia d’oro nel giorno della commemorazione dell’attentato. Un gesto poi ricordato nel discorso di insediamento dell’attuale capo dello Stato Sergio Mattarella il 3 febbraio 2015, la citazione di quel “bambino italiano” che ha commosso molti cittadini italiani e molto sentita dalla comunità ebraica.


    Ed è proprio la comunità ebraica che da quarant’anni chiede che si faccia luce sull’attentato e sui buchi dell’allora ministro dell’Interno Virginio Rognoni. Come più volte segnalato da Shalom, quella mattina non c’erano pattuglie della polizia davanti alla Sinagoga. Perché? Finalmente se lo chiede anche la politica. Il segretario del Copasir, Ernesto Magorno, di Italia Viva, vuole che si faccia “chiarezza su quella tragedia” ed è intenzionato a portare la questione all’attenzione del Copasir. Anche il PD presenterà un’interrogazione parlamentare. “Si tratta di un atto dovuto, in primis per rispetto della vittima, dei feriti e di tutti gli affetti e famigliari. Ma anche perché sarebbe inaccettabile che una democrazia come l’Italia si macchi di una simile barbarie”, dicono Paolo Lattanzio ed Emanuele Fiano. Da Fratelli d’Italia, Federico Mollicone chiede una commissione d’inchiesta parlamentare. Che i dettagli siano inquietanti, lo sottolinea la Presidente della comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello per la quale è arrivato il momento di fare chiarezza.


    Chiarezza appunto che l’ex Ministro dell’Interno ed ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga aveva cercato di fare il 3 ottobre del 2008 sul quotidiano israeliano Yediot Aharonot con un’intervista, che ebbe solo una debole eco sui media italiani. Parlando al quotidiano israeliano, Cossiga rivelava che sarebbe stato firmato un accordo segreto tra Italia e terrorismo palestinese quando era presidente del Consiglio Aldo Moro. “Vi abbiamo venduti”, la frase di Cossiga. “Lo chiamavano “Accordo Moro” e la formula era semplice: l’Italia non si intromette negli affari dei palestinesi, che in cambio non toccano obiettivi italiani”. Ebrei esclusi. “Per evitare problemi, l’Italia assumeva una linea di condotta tale da non essere disturbata o infastidita”, continuava Cossiga nell’intervista del 2008. “Poiché gli arabi erano in grado di disturbare l’Italia più degli americani, l’Italia si arrese ai primi…” Cossiga ammette di essere rimasto sorpreso per l’indifferenza con cui è stata accolta in Italia la sua rivelazione. “Ero convinto che la notizia pubblicata in agosto avrebbe risvegliato i media, che magistrati avrebbero cominciato ad indagare, che sarebbero cominciati gli interrogatori dei coinvolti. Invece c’è stato il silenzio assoluto”. Ma Cossiga non era nuovo a tesi che mettono in discussione tutto il periodo degli anni di piombo.


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