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    Ritrovate dal CDEC sei interviste del 1955 ai sopravvissuti del 16 ottobre 1943

    La memoria a volte ha il potere di affiorare, dal nulla. Riemergere dalla polvere e raccontarsi, nuda e cruda nel suo essere. Così è accaduto a sei voci, ritrovate per caso o per fortuna. Un rinvenimento straordinario è quello che il CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) ha fatto circa un anno e mezzo fa, durante i primi lavori di riordino del locale archivio in vista dell’ormai imminente trasloco della sede del CDEC. Cinque dischi, con incise le interviste realizzate nel 1955 a sei dei sedici sopravvissuti della razzia degli ebrei di Roma del 16 ottobre 1943 – il famigerato “sabato nero”, storia indelebile nella memoria degli ebrei romani.

    La scoperta di questo incredibile documento audio è ad opera di Laura Brazzo, responsabile dell’Archivio e della Digital Library della Fondazione CDEC.

    Le interviste, registrate su cinque dischi in vinile 33 giri, sono state successivamente digitalizzate portando alla luce le voci di: Lazzaro Anticoli, Cesare Di Segni, Lello Di Segni, Angelo Sermoneta, Mario Piperno, e Luciano Camerino.

    “Dopo il ritrovamento dei dischi, tra la documentazione d’ archivio abbiamo rinvenuto alcune lettere che ci hanno permesso non solo di identificare gli organizzatori di quelle interviste – il Circolo Giovanile Ebraico (CGE) di Roma e Guido Di Veroli in particolare – ma anche la loro destinazione, ossia l’archivio dell’appena nato CDEC” spiega a Shalom Laura Brazzo.

    Sei esistenze spezzate assieme ad oltre mille altre, arrestate la mattina del 16 ottobre e, dopo due giorni di reclusione al Collegio militare di Roma, deportate ad Auschwitz. Un documento unico nel genere, di cui si erano perse completamente le tracce, e che restituisce alla storia un contributo inestimabile.

    “L’era della testimonianza è iniziata ben prima degli anni ‘90 come spesso si dice, e una delle prove a supporto di tutto ciò è proprio questo ritrovamento risalente agli anni ‘50 – spiega Gadi Luzzato Voghera, direttore del CDEC- un momento in cui, in una comunità, come quella di Roma si sentiva l’esigenza di fissare e di registrare, ricorrendo a dei mezzi anche molto complessi dal punto di vista tecnologico all’epoca, sei testimonianze significative come quelle che possiamo ascoltare in questi vinili. Il CDEC è impegnato alla continua ricerca di questo tipo di fonti.”

    Registrazioni asciutte, brevi, senza sbavature, nelle quali i testimoni condividono un ricordo vivido della loro personale esperienza. Le domande degli intervistatori, dei quali – per ora – non si conosce nome né provenienza, sono piuttosto investigative, vogliono comprendere, cercano di capire, di ricostruire quell’immane tragedia. “Le impressioni ascoltando queste registrazioni sono di due tipi. Una legata al testimone, l’altra riguarda l’intervistatore. Nel testimone si percepisce sin da subito la freschezza del ricordo – da come racconta, dalle parole che utilizza. Ma si percepisce anche, al contempo, la “novità” per essi di trovarsi a raccontare, per di più di fronte ad un microfono, quell’ esperienza. Ciononostante, il racconto rimane su toni spontanei, asciutti ed essenziali. È anzi solo l’incalzare delle domande degli intervistatori che porta i testimoni a raccontare più dettagli – sui momenti dell’arresto, la vita nei campi, il ritorno a Roma. In queste registrazioni, soprattutto riascoltate oggi, ha un ruolo importante anche l’intervistatore, con le sue domande, i suoi commenti, il linguaggio che utilizza – fa impressione, per esempio, sentire uno degli intervistatori, definire la reclusione nel campo di Auschwitz, “soggiorno ad Auschwitz”. Oggi siamo abituati ad intervistatori con un ruolo di secondo piano – il testimone, infatti, viene spesso lasciato al flusso dei suoi ricordi che spesso si evita di interrompere.  In queste testimonianze del 1955, invece, gli intervistatori intervengono spesso, con commenti e domande volte a far emergere non solo i particolari, ma anche le sensazioni, i sentimenti provati – al momento dell’arresto o al ritorno a casa, soli.  E questa ‘curiosità’, se così si può definire, derivava, evidentemente, anche dalle scarsissime conoscenze che a quell’epoca si avevano su ciò che era stato Auschwitz e l’esperienza di chi era stato ad Auschwitz.

    In certo modo, questo ritrovamento costituisce qualcosa di unico anche perché testimonia i primi approcci alla conoscenza di “ciò che era stato.”

    Qui i link di alcuni stralci delle interviste a Lazzaro Anticoli, Cesare e Lello Di Segni, Luciano Camerino.

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