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    La marcia dei vivi: sopravvissuti alla Shoah guidano i giovani tra i luoghi dell’orrore

    Istituita nel 1988, La “Marcia dei vivi” è un viaggio che raccoglie migliaia di partecipanti da tutto il mondo diretti in Polonia per esplorare la storia della Shoah, insieme ai resti strazianti delle infrastrutture naziste, come i famigerati campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau, e di Bergen Belsen in Germania.

     

    Dopo quasi due anni di pausa dettata dalla pandemia, inizia la ripresa. Come riportato dal Jerusalem Post, una delegazione britannica composta da quattro sopravvissuti alla Shoah e circa 80 partecipanti – ebrei e non – ha visitato Berlino, il campo di sterminio di Ravensbruck e quello di Bergen-Belsen, dove si trova la lapide di Anna Frank.

     

    I superstiti che hanno guidato la delegazione sono stati Eve Kugler, Alfred Garwood, Harry (Chaim) Olmere e Mala Tribich, imprigionata a Ravensbruck all’età di 14 anni e trasferita a Bergen-Belsen pochi mesi dopo, che porta la sua testimonianza: “Ci sono voluti diversi giorni per arrivare in treno. Avevo 14 anni e ricordo che il campo era molto organizzato. Siamo arrivati ​​qui, ci hanno rasato. Sembravamo tutti uguali, in pochi secondi hanno preso la nostra identità. Questo è uno dei momenti più difficili che riesco a ricordare”.

     

    “Sono nato durante guerra e avevo quasi quattro anni quando sono stato liberato – ha raccontato Garwood, anch’esso imprigionato a Bergen Belsen – I bambini erano con le loro madri e io sono sopravvissuto in parte perché mia madre è riuscita ad allattarmi. È stato un miracolo. C’erano molti bambini nel campo. Abbiamo giocato vicino ai cadaveri. Abbiamo sofferto in silenzio, chi piangeva veniva ucciso. I miei amici sono morti accanto a me”.

     

    Lo scopo di educare i giovani riguardo la Shoah non è solo insegnare la storia, ma anche avvertire delle atrocità di cui sono capaci i nostri simili. “Fa molto male essere di nuovo qui, ma ammetto che ho dovuto farlo, anche solo per ricordare le vittime. Sento che se non li menzioniamo, saranno dimenticati come se non fossero mai vissuti. Con il passare delle generazioni, questo è il modo per assicurarsi che le vittime non vengano dimenticate”, ha aggiunto Tribich. Garwood la pensa allo stesso modo: “Torno qui oggi per raccontare la storia di me stesso, della mia famiglia e di molte vittime. Quel ricordo non sarà mai dimenticato».

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