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    A un metro dal futuro tra ebraismo e lockdown

    Incontro Marco David Benadì in pieno centro a Torino. Le sue gambe nomadi e veloci e il suo sguardo sempre vivace anticipano le sue parole. “una nuova avventura è alle porte, un nuovo progetto sta per nascere. E come sempre è un progetto che nasce da un viaggio, contiene un libro intitolato ‘A un metro dal futuro’, e sostiene un progetto sociale. Un libro che parla di ragazzi che ho incontrato durante il lockdown, che sarà presentato 14 ottobre al Salone del Libro di Torino. Ragazzi delle periferie ma anche privilegiati dei quartieri bene, che hanno vissuto il lockdown tra tecnologia e comodità e ragazzi che hanno provato a studiare con il banco fuori dalla scuola. Voci libere da costrizioni parentali e da decreti ministeriali e uguali, perché è l’età che le rende tali, al di là della loro provenienza geografica, culturale e sociale. Questo progetto editoriale non poteva che essere partecipativo e plurale, non poteva che nascere dai ragazzi e tornare ai ragazzi. Da un lato attraverso un libro in cui il nostro ruolo di adulti è semplicemente quello di dar voce a chi il futuro ha la possibilità di scriverlo e, prima ancora, di immaginarlo. Dall’altra provando a costruire concretamente “pari opportunità” per chi è più svantaggiato, almeno nell’accesso agli strumenti formativi. Tutto questo è possibile grazie al sostegno, con i proventi di questo libro, alle attività di ‘Educativa di strada’ del Gruppo Abele a cui ho donato tutto me stesso”.

    Sorpresa ancora una volta dalla sua inesauribile energia, interrompo Marco e gli chiedo” facciamo un passo indietro, parlaci del tuo libro precedente di ‘Io sono mio padre, io sono mio figlio’ che hai presentato al Memoriale della Shoah con la senatrice Liliana Segre, dei contenuti e della tua identità ebraica.” “Il senso di quel libro era proprio l’importanza del passaggio generazionale. La mia storia familiare mi ha consegnato l’enorme privilegio e responsabilità di essere a solo un grado di separazione tra la generazione dei millennials (i miei figli) e quella dei perseguitati per questioni di razza (mio padre). Anche in quel caso il mio ruolo naturale è stato quello di fare da ponte, da interprete di una storia il cui significato diventa chiaro solo in un’ottica multigenerazionale.” 

    Generazioni che hanno un valore speciale e che Marco ricorda sempre con affetto e commozione “Mio padre stimava moltissimo il rabbino Elio Toaff z.l., andava spesso a trovarlo, parlavano a lungo; ho una foto di loro due insieme, la tengo sulla mia scrivania, dai loro sguardi capisco quanto i loro insegnamenti siano imprescindibili per me, per i miei figli e per tutti i giovani a cui dedico ‘A un metro dal futuro’”

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