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    Il mistero di Ron Arad e ciò che ci insegna sul Medio Oriente

    È tornata d’attualità la vicenda di Ron Arad, un ufficiale di volo dell’aviazione israeliana nato nel 1958, studente di ingegneria chimica al Technion di Haifa, sposato e padre di una figlia, Yuval, perduto in azione. Nel 1986, durante una missione sul cielo del Libano, Ron Arad fu costretto a eiettarsi dal suo aereo danneggiato dall’esplosione prematura di una bomba, insieme al suo pilota Yishai Aviram. Mentre un elicottero israeliano riuscì a recuperare quest’ultimo sotto il fuoco nemico, Arad fu catturato dal gruppo terrorista sciita Amal. 

     

    A quanto pare fu Arad ceduto da Amal a Hezbollah, portato in Iran e poi riportato in Libano. Fino al maggio del 1988 i suoi sequestratori fecero pervenire in Israele alcune lettere e fotografie, nel tentativo di ottenere un cospicuo riscatto. Da quella data invece di Arad non si sa più nulla. Da tempo le autorità israeliane ritengono che Arad sia morto molti anni fa, probabilmente già nel 1988, sebbene i rapporti dell’intelligence differiscano per quanto riguarda le circostanze, i tempi e il luogo della sua morte. Nel 2016, un rapporto indicava che Arad era stato torturato a morte e sepolto nel 1988 vicino a Beirut. Ma una commissione dell’esercito israeliano del 2004 ha concluso che Arad era morto negli anni ’90 dopo che, ammalato o ferito, gli erano state negate le cure mediche. Nel 2006, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha detto che il suo gruppo, sotto forte pressione internazionale per rivelare che cosa avesse fatto del militare inb suo possesso, credeva che Arad fosse morto e il suo luogo di sepoltura sconosciuto. Nel 2008, il negoziatore tedesco Gerhard Konrad disse a Israele che Hezbollah gli aveva detto che Arad era morto durante un tentativo di fuga del 1988.

     

    In questi decenni si sono succeduti molti tentativi israeliani di ottenere e magari di comprare informazioni su quel che era successo ad Arad e di recuperare la sua salma, ma senza successo. L’ultimo di questi tentativi è stato rivelato tre giorni fa dal primo ministro Bennett alla Knesset: “una vasta, coraggiosa e complessa operazione del Mossad”, che però non ha ottenuto il suo scopo, come ha spiegato il direttore dell’agenzia di informazione David Barnea, evidentemente scontento che il tentativo fosse stato divulgato al pubblico.  Ci sono delle indiscrezioni che dicono che addirittura il Mossad “abbia rapito un generale iraniano dalla Siria, secondo quanto riportato dai media arabi a-Rai al-Yom Hapoel  a Londra. Secondo il rapporto, il generale è stato trasferito in un Paese africano, dove è stato interrogato e poi rilasciato.”

     

    La partita non è chiusa, sicuramente Israele cercherà ancora di scoprire la sorte del suo ufficiale e magari di recuperare qualche sua traccia, come di recente è riemerso, a quanto pare con l’aiuto dei russi, l’orologio di Eli Cohen, la spia israeliana che fu impiccata a Damasco nel 1965 e le cui spoglie non sono mai state recuperate.

     

    Al di là della cronaca di questi tentativi, che potrebbero ispirare un romanzo di spionaggio, riemergono ancora una volta due dati che dovrebbero far riflettere. Il primo è questo: i nemici di Israele, che si tratti di stati o movimenti terroristi, hanno spesso l’obiettivo di rapire gli israeliani, soldati e civili, o anche solo le loro salme. Ricordiamo tutti il caso di Gilad Shalit, tenuto prigioniero fra il 2006 e il 2011 da Hamas. Lo stesso gruppo oggi detiene due civili israeliani probabilmente con difficoltà mentali, che hanno superato la barriera di separazione e non sono mai stati rilasciati e processati, ma anche i resti di due soldati uccisi nella guerra del 2014, Hadar Goldin e Oron Shaul. Da anni cerca di farne commercio per ottenere in cambio la liberazione di migliaia di terroristi detenuti.

     

    Si tratta di un’evidente, programmatica e diffusa violazione della convenzione di Ginevra del 1949 sui prigionieri di guerra; ma né il tribunale dell’Aja né l’Onu né tutti quelli che amano condannare Israele per violazione dei diritti umani se ne sono mai occupati.

     

    Il secondo è che Israele sente l’imperativo etico e religioso di recuperare quasi a ogni costo i suoi prigionieri e i corpi dei suoi caduti. Questa missione spesso è difficile e può produrre difficoltà e portare anche alla liberazione di terroristi criminali Ma è un dovere che tutti gli israeliani condividono e che segna la differenza fra uno stato civile e la barbarie così diffusa in Medio Oriente.

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