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    “Scene di un matrimonio” e l’eterna libertà – la nuova serie TV di Hagai Levi presentata a Venezia

    Il maestro è morto, viva il maestro. Non ci sono riduzioni dirette moderne dell’opera dello svedese Ingmar Bergman, se non rari omaggi. Forse perché la modernità era già tutta contenuta nel corpo della sua opera. Già dagli anni ’30 quando è entrato a far parte del mondo dello spettacolo. Che cosa allora ha spinto Hagai Levi, l’israeliano creatore di “In Treatment”, lui ebreo, a cercare di ricreare i rapporti familiari di “Scene di un matrimonio” serie tv (ma anche film) del regista più protestante di sempre?

     

    “Scene di un matrimonio”, considerato uno dei ritratti più autentici del rapporto d’amore fra due persone è stata adattata in una miniserie Hbo, scritta e diretta da Hagai Levi, ed è stata presentata in anteprima mondiale alla mostra di Venezia 2021. Anche in questa versione c’è la “solita” coppia borghese e privilegiata, apparentemente senza problemi: lui è un professore universitario di filosofia che si occupa per la maggior parte del tempo anche della figlioletta mentre lei è un’affermata donna d’affari che acquisisce e gestisce start up in tutto il mondo.

     

    Come all’inizio della serie di Bergman, anche qui i due sono intervistati da una ricercatrice la cui tesi è, in un gioco speculare in rapporto alla storia bergmaniana, che se è la donna a portare la parte più forte al bilancio familiare, le cose vanno decisamente, almeno oggi, meglio. Mira e Jonathan, interpretati da i sublimi Jessica Chastain e Oscar Isaac, sembrano felici così, ma la frattura nella coppia sta all’angolo della strada e la crisi è inevitabile. Con tutto che ciò comporta.

     

    Cosi nell’invertire i ruoli Hagai Levi, nell’originale era l’uomo la parte forte della coppia, esplicita tutto ciò che già c’era in Bergman: si parla del divorzio, della monogamia e del sesso ma il regista israeliano lo fa cercando di ridefinire i ruoli della coppia immergendoli in un contesto di sospesa spiritualità.

     

    “In un’epoca in cui la società consumistica e narcisista ci spinge a cercare costantemente l’autorealizzazione e una libertà superficiale, vale anche la pena ricordare quanto, solitamente, sia traumatica una separazione nel corso della vita umana” spiega Hagai Levi a Shalom.

     

    Ma Levi, lontano dall’essere didascalico, rimette l’ordine delle cose a posto creando un equilibrio che forse mancava, volontariamente, nel testo originale dello svedese. Ma che sembra necessario per i giorni d’oggi, lontani da quei anni ’70 pieni di sussurri e grida. Infatti quando i due si rendono conto che qualcosa non quadra nei loro rapporti, rapporti in cui la società cerca di ricondurli, e che il sogno della loro vita sembra destinato a infrangersi in mille pezzi, raccogliendo le forze ci lasciano intravedere la luce in fondo al tunnel. Al contrario dell’illuminato Bergman che lascia la coppia in piena incomunicabilità.

     

    A Hagai Levi riesce quello che non è mai riuscito a Woody Allen, non a caso altro regista ebreo che amava Bergman. Ciò che pellicole come “Io e Annie”, sicuramente un capolavoro, e come il fallimentare “Interiors” volevano recuperare dalla scrittura del maggior regista scandinavo, insieme al danese Dreyer, ossia l’eterna crisi dell’essere umano. In Allen diventa tutto nevrosi in Levi eterna libertà.

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