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    Il gioco della vita a Yad Vashem per celebrare le Olimpiadi e le Paralimpiadi

    Per celebrare le Olimpiadi e le Paralimpiadi di Tokyo Yad Vashem propone due mostre online di straordinaria intensità emotiva dall’eloquente titolo: “Il gioco della loro vita” dedicate al ricordo di atleti ebrei e non ebrei che vissero negli anni della Seconda Guerra Mondiale. 

    La retrospettiva intitolata “Gli ebrei nello sport prima dell’Olocausto” ricostruisce, con l’ausilio di un’iconografia molto ricca di filmati, fotografie, documenti d’epoca e oggetti, le diverse funzioni dello sport come strumento di propaganda e di teoria razziale o, al contrario, di resistenza e affermazione nazionale. Vengono presentati i destini individuali di grandi campioni la cui carriera fu in molti casi spezzata dal nazismo e la cui condotta esemplare è totalmente consona allo spirito olimpico.

    Nella mostra “I Giusti tra le nazioni che sacrificarono la loro esistenza per lo sport” vengono tratteggiate le storie di dieci uomini e donne che con i loro comportamenti esemplari riuscirono a salvare un gran numero di vite umane. Il ciclista fiorentino Gino Bartali, Giusto dal 2013, fulgido esempio di eroe silenzioso compare con una toccante ricostruzione e alcune belle fotografie, accanto a lui Yad Vashem propone il racconto delle rocambolesche vicende della nuotatrice Margit Eugénie Mallász nata a Lubiana in una famiglia aristocratica ungherese e della ginnasta Maria Helena Firedlander che per lunghi mesi si finse nazista, a fine guerra si sposò con un ebreo e trascorse gran parte della sua vita in Israele.

    Il nazismo, il fascismo, i regimi autoritari e collaborazionisti non hanno semplicemente riservato un’attenzione privilegiata allo sport, come strumento di inquadramento della gioventù e delle masse, di formazione di quello che veniva definito ‘l’uomo nuovo’, con corpo atletico, forte, guerriero, ma hanno anche utilizzato l’attività fisica come mezzo per giustificare la propria ideologia razzista e xenofoba, fino a piegare e snaturare lo sport trasformandolo in mezzo di umiliazione e tortura per i campioni e gli atleti deportati nei lager.

    Per le minoranze perseguitate, per i resistenti e persino per alcuni prigionieri dell’universo concentrazionario, la pratica sportiva ha rappresentato un potente strumento di resistenza, di riarmo morale e fisico. Ne sono alcuni esempi campioni internazionali del Terzo Reich, considerati ‘ariani’ secondo l’ideologia del regime, come l’atleta di salto in lungo Luz Long, avversario di Jesse Owens ai Giochi di Berlino del 1936, , che non furono mai nazisti e compirono gesti di disobbedienza civile e di dissidenza, ma anche grandissimi sportivi di origine ebraica che subirono la deportazione e in molti casi la morte, come il campione di nuoto Alfred Nakache, il pugile romano Leone Efrati, alla memoria di tutti loro sono dedicate queste mostre.

     

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