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    Israele-Polonia, cresce la tensione. Varsavia valuta stop ai viaggi degli studenti israeliani nei campi di sterminio

    Nuova tensione tra Israele e Polonia.
    Come riportato da diverse testate israeliane, Varsavia sta valutando se far
    continuare i viaggi in cui gli studenti israeliani visitano i campi di
    sterminio nazisti in territorio polacco. A tale proposito viene riportata una
    dichiarazione del Vice Ministro degli esteri Pawel Jablonski: “I viaggi non si
    svolgono in modo corretto. A volte instillano odio per la Polonia nella testa
    dei giovani israeliani. Prenderemo le decisioni opportune su questi viaggi.
    Abbiamo a che fare con un sentimento anti-polacco in Israele, e una delle
    ragioni di ciò è il modo in cui i giovani israeliani vengono educati e cresciuti”.

    Affermazioni shock, per la possibile
    decisione che il governo polacco potrebbe varare e per il contesto in cui si
    inserisce. La visita dei campi di sterminio riveste infatti un’importanza
    fondamentale per acquisire la consapevolezza di cosa è stata la Shoah, di come
    i nazisti volessero mettere in atto la “soluzione finale”, lo sterminio degli
    ebrei.

    Questa proposta arriva in un momento
    non semplice nei rapporti tra i due Paesi. Alla fine della scorsa settimana, Israele
    ha richiamato l’incaricato di affari a Varsavia come forma di protesta contro la
    legge sulla restituzione dei beni ebraici sequestrati durante la Seconda Guerra
    Mondiale, con il ministro degli esteri Yair Lapid che ha definito “antisemita e
    immorale” il provvedimento. A distanza di poche ore, lunedì 16 agosto, la
    Polonia ha richiamato il suo ambasciatore in Israele. La legge alla base dello
    scontro diplomatico, approvata dal parlamento polacco, impedisce di fatto la
    restituzione della maggior parte delle proprietà confiscate dopo la seconda
    guerra mondiale, imponendo un termine di prescrizione di 30 anni per
    rivendicare i beni saccheggiati, solitamente confiscati dal regime comunista
    dopo la guerra.

    Queste recenti tensioni si
    inseriscono in un percorso in atto da diversi anni: per l’attuale governo,
    nazionalista ed euroscettico, infatti, sono i polacchi le principali vittime
    della Guerra, mentre gli ebrei costituiscono quasi un effetto collaterale,
    sebbene ad Auschwitz vennero uccise un milione e 100mila persone, di cui il 90%
    ebrei di diverse nazionalità. La Shoah fu un crimine perpetrato dalla Germania
    nazista, ma a cui parteciparono in diverso modo i vari governi alleati o
    collaborazionisti. Tranne alcuni casi virtuosi, molte popolazioni si distinsero
    per l’indifferenza, laddove non vi furono delazioni e supporto nel favorire
    persecuzioni, rastrellamenti, deportazioni. Nel caso della Polonia anche la
    popolazione si macchiò di crimini terribili, nonostante coloro che si
    distinsero salvando degli ebrei, tanto che proprio la Polonia conta il più alto
    numero di giusti tra le nazioni, oltre 6mila, circa un quarto del totale,
    riconosciuti dallo Yad Vashem di Gerusalemme.

    Resta un quadro dalle tinte
    fosche e assai preoccupante. L’indignazione per le recenti decisioni infatti
    non è solo di Israele: a fargli eco, tra gli altri, vi è anche la Presidente
    della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello, che nelle ultime ore ha
    twittato: “È l’ultimo tassello di una strategia precisa: cancellare la
    responsabilità polacca e la memoria dei campi di sterminio. Sarebbe giusto che
    anche i Paesi europei facessero sentire la loro voce e che non siano solo le
    istituzioni ebraiche a protestare”.

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