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    Parashà di Reè: L’eccezionale benedizione a chi presta al prossimo

    La conquista della Terra di Cana’an da parte degli israeliti impiegò sette anni e altrettanti anni furono necessari per assegnare i territori alle tribù e suddividere questi territori alle varie famiglie. 

                Dopo questi quattordici anni ebbe inizio il conto dei cicli settennali, come scritto nella parashà  di Behàr Sinai: “L’Eterno parlò a Moshè sul monte Sinai dicendo:  «Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando entrerete nel paese che io vi dò, la terra riposare un sabato in onore dell’Eterno. Per sei anni potrai seminare il tuo campo, potare la tua vigna, e raccogliere i suoi frutti;  ma il settimo anno ci sarà una completa cessazione dal lavoro della terra: non seminerai il tuo campo e né poterai la tua vigna” (Vaykrà, 25:1-4). 

                Nel settimo anno era prescritta anche la remissione dei debiti contratti da prestiti, come scritto nella nostra parashà: “Alla fine d’ogni settennio celebrerai l’anno di remissione.  Ed ecco il modo di questa remissione: Ogni creditore sospenderà il suo diritto al prestito fatto al suo prossimo; non esigerà il pagamento dal suo prossimo, dal suo fratello, poiché è stata proclamata  remissione in onore dell’Eterno (Devarìm, 15:1-2).

                La remissione dei debiti contratti a seguito di prestiti creava un problema. Chi concedeva un prestito lo poteva fare volentieri nei primi anni del ciclo settennale. Ma avvicinandosi l’anno della remissione concedere un prestito diventava più rischioso. 

                Per questo nella Torà è scritto: “Guardati dall’avere in cuor tuo un pensiero beli’al, che ti faccia dire: ‘Il settimo anno, l’anno di remissione, è vicino!’ e tu divenga avaro verso il tuo fratello bisognoso, e non gli dia nulla; poiché  egli griderebbe contro di te all’Eterno, e ci sarebbe del peccato in te. Dagli ciò che ha bisogno; e quando gli darai, non te ne dolga il cuore; perché a motivo di questo, l’Eterno, tuo Dio, ti benedirà in ogni opera tua e in ogni cosa a cui porrai mano (ibid., 9-10)”. Rashì (Troyes, 1040-1105) spiega che “beli’al” significa “Belì ‘ol“ (senza giogo), cioè che una persona non accetta il gioco celeste ed è in effetti un fuorilegge.  

                R. Chayim Yosef David Azulai (Gerusalemme, 1723-1806, Livorno) nel suo commento Penè David, cita R. Chayim Vital detto il Calabrese (Safed, 1542-1620, Damasco) che, in una sua derashà, scrisse che chi ignora la tzedakà è paragonabile a colui che commette il peccato di ‘avodà zarà (idolatria). Questo lo deriva dal fatto che la parola “beli’al” viene usata anche riguardo a a chi commette il peccato di praticare ‘avodà zarà (culti estranei). Chi non dà tzedakà quando è obbligato a darla, commette una trasgressione.  Concedere prestiti a chi ne ha bisogno è anche una forma di tzedakà. 

                R. Azulai fa notare una differenza tra la remissione dei debiti contratti da prestiti e la mitzvà di non coltivare la terra nel settimo anno. Mentre bisogna astenersi dal coltivare la terra all’inizio del settimo anno, la remissione dei debiti ha luogo solo alla fine del settimo anno. A questo proposito egli cita r. Zekharia Gota di Costantinopoli (m. 1648, Il Cairo) che fu discepolo di r. Yechiel Bassan e di r. Yosef di Trani. R. Gota spiega che la remissione di questi debiti avviene solo alla fine del settimo anno perché altrimenti i poveri non troverebbero prestatori durante il settimo anno.  In questo modo  durante il settimo anno vi è la possibilità di prendere a prestito e di pagare i debiti più di una volta. Per questo è scritto “natòn titèn” (dare darai, o darai liberamente)  perché durante il settimo anno chi presta lo potrà fare più di una volta e grazie a questo riceverà un’eccezionale benedizione divina. 

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