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    Assolvere Shylock. Conversazione con Dario Calimani sul Mercante di Venezia

    Entrare in un’intervista con un’idea e uscirne con il dubbio o addirittura con un’altra visione non è comune. Eppure, è quello che mi è successo durante questa conversazione sul “Mercante di Venezia” con Dario Calimani, professore di Letteratura inglese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, autore di un recente saggio-mémoire della Giuntina, “L’ebreo in bilico, i conti della memoria fra Shoah e antisemitismo”, dedicato – ci spiega – non tanto agli ebrei, non agli antisemiti, ma agli indifferenti.  

     

    Da studente di anglistica, ho sempre reputato Il mercante di Venezia una stonatura nel mondo geniale shakespeariano, un testo profondamente antisemita. Per Dario Calimani non è così. “Dipende da come lo legge – risponde il professore Calimani – non credo all’eccesso del politically correct, se non contestualizziamo il testo, facciamo del Mercante di Venezia quello che vogliamo noi. Il testo si legge attraverso il testo e non rivisitando una storia con gli occhi di oggi. Cerchiamo di capire il mondo dove ci muoviamo. Nel 1290, gli ebrei vengono cacciati dall’Inghilterra e ci torneranno solo a fine ‘600. Non ci sono ebrei nella Londra di Shakespeare, soltanto qualche centinaio di marrani per lo più portoghesi. Shakespeare è erede della tradizione culturale medievale, delle ballate antisemite, della priora di Chaucer, dell’accusa degli omicidi rituali e vicinissimo all’Ebreo di Malta di Christopher Marlowe”.

     

    Per Calimani, poi, l’ambientazione italiana è solo un pretesto. “I drammi si interrogano sull’Inghilterra elisabettiana e, se non si vuole finire con la testa mozzata, meglio ambientarli in Danimarca o a Venezia. L’Inghilterra sta in quel momento cercando la sua identità e non la trova in positivo, di gente che ammazza regine, che un giorno è cattolico e l’altro è protestante. L’identità si va a cercare in ciò che non si è, non su chi si è, in identità straniere. Io non sono Othello, non sono Shylock. Shakespeare lo fa in modo molto profondo, molto sottile”. E qui Calimani si lancia in una battuta: “È troppo intelligente per essere esistito”. 

     

    Arriviamo a Shylock. “Quando ci si ferma a dire che è una figura antisemita è perché si guardano soltanto alcuni atteggiamenti. C’è chi lo assolve sulla base dei tre monologhi, c’è chi lo condanna per la penale. Ma Shylock è l’uno e l’altro. La sua cattiveria sta nel fatto che chiede una libbra di carne, ma ci siamo mai chiesti se la ottiene? Se infigge il coltello nelle carni di Antonio? No. E allora dov’è la cattiveria di Shylock? Nelle intenzioni, ma non possiamo portare in tribunale delle intenzioni”. 

     

    C’è quindi un secondo livello. Per scoprirlo, dobbiamo osservare la collettività. “E’ una società che ha offeso Shylock, che gli ha gridato bastardo di un ebreo, ma quando ha bisogno di soldi lo chiama “gentle Jew”, gentile ebreo che è una presa in giro. “Gentle” vuol dire nobile, ma anche cristiano. Una società composta dall’uomo veneziano/inglese della nuova economia, dei nuovi traffici. Shylock è estraneo a questa collettività, è soltanto uno strumento, l’uomo a cui si chiede di offrire denaro per ottenere qualcosa”. 

     

    E qui scopriamo un altro punto. Il dramma gira tutto attorno al denaro. “La prima battuta di Bassanio ad Antonio quando gli va a chiedere dei soldi è: a Belmonte c’è una donna piena di “schei” e la voglio sposare. È un dramma sull’usura dove tutti si usano tra di loro e Shylock è l’unico che pratica l’usura all’aperto. Gli altri lo fanno per gusto, per vizio, di nascosto e senza mai ammetterlo. Bassanio usa Antonio, ma vuole i soldi, ha un grande amore per Porzia, ma Porzia è piena di soldi. Antonio aiuta Bassanio perché è innamorato di lui. E l’usura ha anche un carattere sessuale, è uso del corpo. Sono usurai che confondono amore, sesso e denaro. E qual è la condanna di Shylock? Espropriazione, metà dei suoi averi va ad Antonio per essere consegnata a Lorenzo e Jessica. Tutti ci guadagnano e l’avrebbero condannato ugualmente”. 

     

    Arriva adesso la rivelazione di Calimani. “L’unico disinteressato al denaro è Shylock. Quando Porzia gli offre il doppio o il triplo, lui rifiuta, si batte per lo spirito, per la giustizia. Quando scopre che Jessica ha venduto il turchese della madre, Shylock risponde che non l’avrebbe mai ceduto per nulla al mondo”. 

     

    Ma c’è anche un altro aspetto ed è quello identitario. “È un dramma dove tutti si travestono, Porzia da uomo, Jessica per scappare, Antonio che si avvicina in modo falso a Shylock. L’unico reale è Shylock. Per questo, l’unica soluzione è far sparire l’ebreo, omologarlo alla società e farlo diventare un “buon cristiano”. Ma è un’azione falsa, tanto è vero che dopo il giudizio, Shylock viene estromesso, ma si continua a chiamarlo ebreo e il razzismo non cessa con la conversione”. 

     

    C’è un altro modo di confrontare i due mondi ed è quello tra parola e testo scritto. “Porzia usa le parole al processo, la soluzione viene trovata con un linguaggio capzioso, il “verbo”. In una società come quella veneziana, di commercio e traffici, in cui il contratto scritto è la base su cui si fondano gli accordi e le negoziazioni (prestiti compresi), è proprio quel contratto che è stato disatteso e smentito/tradito, dalla società che si contrappone a Shylock come modello di giustizia, di bontà e di misericordia. Ipocrisia, quindi, travestimento morale (oltre che materiale) e tradimento dei propri principi. Parlano molto di misericordia, ma con Shylock non sanno metterla in atto, ossia ne parlano non per praticarla cristianamente, ma solo per ottenerla dagli altri, a proprio beneficio. Ancora ipocrisia”. 

     

    “È antisemita il testo?”, si chiede allora a Calimani. “A me sembra proprio di no. Se tu sei un sempliciotto, Shylock è l’ebreo usuraio, schifoso e cattivo. Ma ti sei chiesto chi sono gli altri?”. Il professore Calimani mi ha convinto. Mi piacerebbe adesso vedere un Mercante di Venezia a teatro in cui vengono rappresentati gli altri per quello che sono, ovvero degli ipocriti. Chissà, magari un giorno…

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