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    Parashà di Pinechàs: Non sbattere la porta in faccia ai pentiti

    Alla fine della parashà precedente viene raccontato come donne moabite e midianite sedussero un gran numero di israeliti e tra loro anche Zimrì il capo della tribù di Shim’on. Pinechàs, nipote di Aharon, messe fine allo scandalo pubblico quando giustiziò il capo tribù e la sua amante, figlia di uno dei re di Midian. All’inizio di questa parashà l’Eterno annunciò che grazie al suo zelo Pinechàs avrebbe ricevuto il patto di pace che “varrà per lui come patto di sacerdozio eterno” (25:10-15). 

                Rashì (Troyes, 1040-1105) citando il Talmud (Zevachìm, 101a) spiega che la kehunà (il sacerdozio) fu data  ad Aharon e ai suoi figli che la ricevettero per loro e per i discendenti che sarebbero nati più tardi. Pinechàs, figlio di El’azar era già nato quando Aharon e i suoi figli ricevettero la kehunà e non venne nominato kohèn fino a quando fece giustizia uccidendo Zimrì.

                R. Avraham Kroll (Lodz, 1912-1983, Gerusalemme) nella sua opera di Bepikudèkha Asìcha (p. 330) fa notare che secondo la Halakhà un kohèn che ha ucciso una persona è invalidato dal servire nel Bet ha-Mikdàsh e, al giorno d’oggi, dal dare la birkàt kohanìm, la benedizione che i kohanìm danno al pubblico nel bet ha-kenèsset. Questo sulla base del  passo del navi Yesha’yà (1:15) che disse: “Quando stendete le mani, non vi guardo; anche quando moltiplicate le preghiere, non ascolto; le vostre mani son piene di sangue”.

                Questo argomento è trattato dal Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel suo codice halakhico Mishnè Torà (Hilkhòt Tefillà, cap. 15) nel quale elenca  sei situazioni che squalificano un kohèn dal dare laberakhà dei kohanìm: la prima è l’incapacità di pronunciare propriamente le parole; la seconda comprende certi tipi di difetti fisici; la terza i peccati. Il primo esempio di quest’ultima categoria è quello di un kohèn che ha ucciso una persona anche se ha ucciso senza intenzione.  La fonte del Maimonide è nel trattato talmudico diBerakhòt (32b) dove è scritto: “R. Yochanàn disse: un kohèn che ha ucciso una persona non sollevi le sue palme [per dare la benedizione] perché è detto [in Isaia 1:15] “le vostre mani sono piene di sangue”. 

                Questa decisione del Maimonide è ripresa e codificata da R. Yosef Caro (Spagna, 1488-1575, Safed) nello Shulchàn ‘Arùkh (O.C., 128:35) dove aggiunge le parole “Perfino se ha fatto teshuvà” [cioè se si è pentito]. R. Moshè Isserles (Cracovia, 1525-1572) nelle sue glosse allo Shulchàn ‘Arùkh non concorda con l’aggiunta di r. Caro è scrive: “E c’è chi dice che se ha fatto teshuvà alza le palme [cioè dà la berakhà] ed è opportuno essere facilitanti nei riguardi dei pentiti per non sbattere loro la porta in faccia, e questa è l’usanza”. 

                Questa differenza di opinioni nello Shulchàn ‘Arùkh tra il sefardita r. Yosef Caro e l’ashkenazita r. Moshè Isserles, era già stata espressa dai loro predecessori: da una parte il già citato Maimonide che era sefardita e dall’altra i decisori ashkenaziti. R. Meir Hakohen (Germania, XIII secolo) autore delle Hagahòt Maimoniòt, un commento stampato a piè di pagina del Mishnè Torà del Maimonide, cita R. Eli’ezer ben Yoel Halevi detto Ravià dalle sue iniziali (Germania, 1140-1225) che afferma che la proibizione a un kohèn di dare la berakhà vale solo per noti assassini. Questa è apparentemente la fonte di r. Moshè Isserles nella sua glossa allo Shulchàn ‘Arùkh che se scrive che la proibizione non sussiste per un kohèn che ha fatto teshuvà. 

                Rimane il fatto che Pinechàs fu nominato kohèn proprio dopo aver giustiziato Zimri! R. Kroll scrive che una spiegazione è nello Zòhar: “Secondo la regola Pinechàs sarebbe stato squalificato dalla kehunà. Ma poiché mostrò zelo per il Santo Benedetto ricevette la kehunà per sé e per i suoi discendenti per sempre”.  

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