All’inizio di giugno, in Lituania, si è tenuto un importante convegno storico dedicato alla memoria della Campagna di Russia durante la Seconda guerra mondiale, in memoria della professoressa Irena Veisaitė, una sopravvissuta della Shoah. Nell’occasione il Primo ministro lituano, signora Ingrida Šimonytė, ha detto che la Lituania è oramai sufficientemente forte per affrontare i fantasmi del passato, e ha sottolineato le responsabilità del suo popolo nei riguardi dello sterminio della sua comunità ebraica. La signora Šimonytė ha anche messo in guardia riguardo al risorgente antisemitismo di questi giorni.
E’ sicuramente una buona, anzi ottima notizia. Che lo sterminio del popolo ebraico, in tutta Europa, sia stata un’operazione iniziata e voluta dai nazisti, ma che non si sarebbe potuta svolgere con le dimensioni che ebbe senza l’aiuto dei collaborazionisti, è cosa accertata da tempo dalla storiografia. Ad esempio riguardo alla Lituania Raul Hilberg, il più grande storico della Shoah, negli anni Ottanta scriveva: “Fu nell’area baltica e in particolare in Lituania, che gli sforzi degli Einsatzgruppen per scatenare atti di violenza <<spontanei>> ottennero il maggior successo.” A Kaunas, la capitale, nel giugno del 1941, una settimana dopo l’inizio dell’attacco tedesco all’Unione sovietica, dei cosiddetti “nazionalisti” lituani massacrarono a colpi di mazza dozzine di ebrei, in piazza, di fronte a tutta la popolazione.
Insomma stiamo parlando di fatti tanto vergognosi quanto conosciuti, almeno dagli storici. Eppure non solo la memoria, ma perfino la conoscenza di questi fatti fa ancora fatica a prendere piede, non solo in Lituania, come ammesso dalla signora Šimonytė, ma in tutta Europa. L’ignoranza è diffusa ma, cosa ben più preoccupante, il negazionismo è parte integrante di molti movimenti politici ultra nazionalisti e sciovinisti, soprattutto nell’Est, con ricadute importanti sulla politica di alcuni paesi. Stiamo parlando di movimenti che, con la scusa dell’”identità”, rispolverano i più abbietti stereotipi antisemiti, accusando gli ebrei di voler utilizzare la Shoah per colpire l’orgoglio nazionale. Chiunque ricordi le vittime, i massacri, e le responsabilità dei tantissimi collaborazionisti, è accusato di “speculare” sulla Shoah a fini economici o politici. E’ triste e doloroso ammetterlo, ma la Shoah fa ancora paura: fa paura perché è la cattiva coscienza della società europea, fa paura perché i fantasmi del passato non sono stati ancora metabolizzati, fa paura perché troppo spesso la cosiddetta “identità nazionale” si sposa con l’odio verso chi si ritiene diverso.
Tutto questo non deve spaventare chi, come gli storici, come le comunità ebraiche, hanno non solo il diritto, ma il dovere di ricordare ai popoli ciò che i popoli stessi non vogliono ricordare. Per questo siamo grati alla signora Šimonytė per il suo coraggio, e a tutti quegli europei che non hanno paura di ricordare, raccontare e tramandare.
Amedeo Osti Guerrazzi, storico e ricercatore presso la Fondazione Museo della Shoah