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    IL DISCORSO DI FEDERICA MOGHERINI E GLI ACCENNI DI JAREED KUSHNER

    Il 16 aprile
    scorso, Federica Mogherini Alto rappresentante
    dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha tenuto un
    discorso al Parlamento europeo sull’annessione da parte di Israele delle alture
    del Golan. Nella sua allocuzione, la Mogherini ha tenuto a rimarcare l’importanza
    che riveste la soluzione dei due Stati (messa a repentaglio a suo avviso dalla
    predetta mossa) per l’intera opinione pubblica del mondo arabo, in una regione
    che negli ultimi anni ha conosciuto gravi tensioni e disordini.

    Il discorso
    in oggetto assume le connotazioni di un’importante novità, della quale siamo
    debitori all’Alto rappresentante Mogherini, perché nessuno sapeva che l’intera
    opinione pubblica del mondo arabo (sic) volesse accettare e riconoscere
    l’esistenza di uno Stato ebraico.

    Un’altra
    significa novità che emerge dal suo discorso è che “questo conflitto può essere
    risolto. Ed è vero; io lo credo ancora perché i
    parametri internazionali sono chiari. Ma senza la volontà politica delle parti
    e senza il consenso internazionale – che ora non abbiamo su quei parametri
    internazionali – non vedo che questo processo produca un esito nei termini di
    una soluzione dei due Stati”.

    Sennonché, una tale affermazione rimuove con un tocco di
    bacchetta magica tutti i precedenti tentativi di pace assieme alle cause che
    hanno condotto al loro fallimento. È possibile sorvolare sull’interesse di
    Israele ad essere riconosciuto come Stato ebraico, quando l’ANP nelle sue carte
    fondative si definisce come Stato arabo governato dalla sharia? La questione
    dei rifugiati, può essere governata senza considerare i rifugiati ebrei? Senza
    arrivare alle conclusioni catastrofiche citate da Benny Morris ad Aldo Cazzullo
    («I palestinesi. Non hanno mai rinunciato a distruggere Israele. La pace
    è impossibile, perché per fare la pace ci vuole un partner. E come fai con uno
    che vorrebbe sgozzarti?» Corriere, 11 aprile 2019) il discorso dell’Alto
    rappresentante è difficile da capire e, da parte nostra, lo vediamo più come
    letteratura che come politica e, come letteratura, l’accosteremmo al filone del
    c.d. realismo magico.

    Ora, il
    genero di Donald Trump, Jareed Kushner, sembrerebbe essere in procinto di
    tentare un assetto del conflitto (definirlo “pace” è eccessivo). Potrebbe pure
    riuscirci, se lo facesse tentando un’intesa con i protagonisti della scena
    mondiale (Russia e Cina) più i players locali (Egitto, Giordania, Arabia
    Saudita) purché il terreno sia preparato con una grazia che, almeno finora,
    sembra essere mancata negli approcci con la Corea del Nord. Certo, è un compito
    improbo, ma è sempre meglio che impegnare la freudiana rimozione negli scenari
    pubblici. Kushner ha annunciato che le due parti dovranno accettare duri
    compromessi, ma già il riferimento alle due parti comporta una loro pari
    dignità. Esattamente ciò che è mancato finora negli interventi dell’Unione
    europea.

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