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    Purgatorio o Monte della Purezza? – Tradurre Dante in ebraico

    Quando nel 2005 sono stata chiamata a dirigere l’Istituto Italiano di Cultura in Israele è cominciato per me un lungo ed interessante viaggio nella passione israeliana per Dante Alighieri. Non solo perché in Israele è attiva una società Dante Alighieri dal 1949, ovvero da quando Israele aveva un anno, ma anche perché il rapporto della lingua ebraica con Dante ha avuto risvolti continui e sorprendenti. Quasi un’attrazione fatale. Gli estimatori di Dante erano tantissimi, soprattutto nel pubblico che frequentava l’Istituto. Citavano interi passaggi dell’Inferno; mi raccontavano quale fosse, secondo loro, la migliore traduzione del termine “purgatorio”; chiedevano ripetutamente di celebrare le date di nascita e di morte del poeta.  “Esperti” di ogni tipo non hanno mancato di contattarmi fin dal primo giorno: per mettere in rilievo questo straordinario connubio, per sottopormi nuove edizioni della Commedia, o – in pochi casi – per mettersi loro stessi sotto un riflettore. 

    Le prime nozioni per far fronte a tante richieste l’ho imparate grazie al puntuale testo su Dante Alighieri scritto dall’italianista israeliano di origine romana Baruch Sermoneta per l’Encyclopaedia Judaica. Sermoneta fa chiaramente capire che Dante non fosse certo estraneo al mondo ebraico antico e che ebbe tra gli ebrei contemporanei estimatori ed imitatori. A parte le ricorrenti domande, senza definitive risposte, sulla possibilità che alcuni contemporanei ebrei lo avessero incontrato (in particolare a Gubbio nell’anno della morte 1321), si mettono in rilievo alcune influenze del poeta su ebrei del suo tempo. Ad esempio sugli scritti del talmudista e medico Hillel da Verona. Poi, il primo tra tutti, Immanuel Romano (poeta ebreo conosciuto anche come Manoello Giudeo vissuto a Roma tra il 1261 e il 1328), il quale racconta in ebraico un viaggio nell’aldilà che ha molte analogie con il poema dantesco.  Immanuel Romano scrisse anche un sonetto in italiano sulla morte di Dante.  E Yudah Romano, cugino di Immanuel, teologo e traduttore, tradusse in giudeo italiano alcuni versi di Dante dal Paradiso e dal Purgatorio.  La professoressa Sandra Debenedetti Stow, che per anni ha insegnato Dante all’Università Barilan ed è esperta di Dante e mistica ebraica, mi spiega che proprio studiando Yudah Romano, il professor Sermoneta – che si occupava di letteratura e filosofia comparata all’Università Ebraica di Gerusalemme – aveva anche trascritto in caratteri ebraici alcuni brani filosofici della Commedia, soprattutto per mettere a paragone il pensiero ebraico con quello della scolastica cristiana.

    Il Prof. Ariel Rathaus, che considero oggi il più serio conoscitore delle traduzioni di Dante nella lingua ebraica, mi fa quindi notare che il rabbino medico e filosofo Moshé da Rieti produsse nei primi anni del 1400 il Miqdash Meàt (Piccolo Santuario), in terzine dantesche, una formula che non esisteva in ebraico e non può che venire dalla Divina Commedia, anche se parla solo del Paradiso. Lo studioso di rinascimento ebraico Roberto Bonfil fa notare che perfino Leone Ebreo (Yudah Abravanel,  vissuto tra Portogallo e Italia 1465-1535), inserisce dei riferimenti ai testi danteschi nei suoi Dialoghi d’Amore.

    “Il vero revival della scoperta di Dante da parte degli ebrei avviene poi nell’ 800 in piena Haskalah (l’illuminismo ebraico ndr)”, spiega Rathaus. “Per i seicento anni dalla sua nascita, nel 1865, il grande Shaddal (acronimo con cui è conosciuto Samuel David Luzzatto, rabbino, poeta, storico ed esegeta, nato a Trieste nel 1800 e morto a Padova nel 1865, fondatore del Collegio Rabbinico di Padova) scrive un sonetto per Dante”.

    La prima traduzione in ebraico della Commedia, a partire dall’Inferno, risale al 1869 ed è opera del rabbino di Trieste Saul Formiggini, che la rende in un ebraico biblico. Questa prima edizione (viene pubblicato solo l’Inferno, ma negli archivi civici triestini sono conservati anche Purgatorio e Paradiso) suscita un certo clamore. Pochi mesi dopo, nel 1870, lo studioso Hillel Della Torre, docente al Collegio Rabbinico di Padova, non solo critica la qualità letteraria della traduzione del Formiggini, ma apre una discussione circa l’opportunità di farla, affrontando la questione più in generale, del rapporto di Dante con l’ebraismo. Con questo attacco, si apre una polemica sul fatto che Dante non fosse “amichevole” con gli ebrei e che tradurlo potesse essere quasi una “profanazione” della lingua sacra ebraica. Nel 1893 lo studioso e divulgatore ebreo Flaminio Servi che visse tra Pitigliano e Casale Monferrato, lavora ad una monografia sul poeta della Commedia “Dante e gli ebrei: uno studio” che mette in evidenza luci ed ombre di questo argomento. 

    La critica lanciata da Hillel Della Torre – il quale comunque aveva presentato una sua traduzione alternativa in versi del Canto di Ugolino – attraverserà a ondate un certo mondo ebraico: perché proprio esaltare Dante che colloca la Giudecca nell’Inferno? Pur non riuscendo per nulla a scalfire il grande amore israeliano per Dante. “Un amore nato accademicamente con la fondazione dell’Università Ebraica di Gerusalemme (inaugurata nel 1925 ndr.) dove i primi studiosi, di origine europea, avevano una formazione fondata sui classici, Dante incluso”, ricorda la professoressa Debenedetti Stow.

    Fatto sta che l’affascinazione per Dante trasporta tanti israeliani nel suo mondo, fino a volersi cimentare con la traduzione in ebraico della sua aulica lingua. In una bellissima serata di poesia organizzata con l’amico Jack Arbib sulla poetessa Lea Goldberg (Konigsberg 1911- Gerusalemme 1970), filosofa, traduttrice, poetessa e scrittrice in lingua ebraica, la quale aveva tradotto diverse poesie italiane (tra cui Petrarca!), vengo a sapere che si era cimentata nella lettura e nella traduzione di Dante, con cinque sonetti da La Vita Nuova.  Un altro nome noto, tra i costruttori di Israele, il sionista Vladimir Zeev Jabotinsky (Odessa 1880 – New York 1940), che avendo studiato in Italia all’inizio del ‘900 amava la nostra cultura, si è cimentato (pare in un periodo di prigionia ad Acri) nella traduzione di alcuni canti dell’Inferno. Rathaus giudica la sua traduzione del primo e del terzo canto (quello di Paolo e Francesca), “musicalissima e poetica, poco fedele al testo forse, ma bellissima e geniale, un’opera autonoma e ancora pienamente da godere”.  Dante era ormai in voga. Sarà stato un caso, ma uno dei primi sionisti italiani, Dante Lattes (vissuto tra l’Italia e Israele tra il 1876 e il 1965) si chiamava proprio Dante!

    Quando arrivai alla guida dell’Istituto di Cultura, la pietra miliare per tutti i riferimenti in ebraico a Dante Alighieri era la traduzione di Immanuel Olsvanger, autorevole studioso israeliano nato in Polonia (e morto a Gerusalemme nel 1961), pubblicata dalla casa editrice Tarshish tra il 1944 e il 1956. La biblioteca dell’Istituto ne aveva ovviamente una bella copia rilegata. Tutti mi avevano avvisata che l’ebraico usato da Olsvanger era particolarmente solenne e pomposo. Lo avrei capito? Devo dire che mi colpì molto come aveva tradotto la parola “Purgatorio”, con Tur ha Tohar, “il Monte della Purezza” (in ebraico moderno purgatorio, nel concetto cattolico, si dice matsref, dalla radice di “purificare”). Lessi poi in un saggio della professoressa Luisa Ferretti Cuomo, che insegnava all’Università Ebraica di Gerusalemme, che Olsvanger aveva addirittura usato l’aramaico per tradurre le parole in provenzale del trovatore occitano Arnaldo Daniello, che appare nell’Inferno.  Olsvanger aveva tradotto anche la Vita Nuova. Era rimasto un punto di riferimento, nonostante altre traduzioni dei testi dantesche: nel 1924 Emilio Schreiber, ebraista e classicista di origine triestina, aveva tradotto il primo canto dell’Inferno in endecasillabe; nel 1961 un certo H. Merchavia aveva tradotto, bene, il De Monarchia; e nel 1998  il linguista Moshe Zinger si era cimentato con il primo canto dell’Inferno, conservando la terzina dantesca, e pochi anni più tardi il famoso traduttore Aminadav Dikman aveva tradotto, sempre in rima, il settimo canto dell’Inferno. 

    Nel 2007 ricevetti diverse telefonate da un poeta e giornalista che si chiama Arieh Stav: aveva tradotto per l’editore Kibbuz Hamiuhad la Divina Commedia in un ebraico molto più moderno. Lo incontrai. Era un uomo affascinante e il direttore di una rivista molto quotata. Mi meravigliai però che non parlasse con me in italiano. La traduzione era sicuramente scorrevole ma non convincente. Scoprii che l’aveva in gran parte tradotta dall’inglese e per questo motivo decisi di non promuoverla. Il signor Stav si arrabbiò molto di non aver conquistato le grazie delle istituzioni italiane. Me ne assumo ancora oggi la responsabilità.  Stav tradusse pure la Vita Nuova che venne comunque diffusa e studiata nelle università.

    Poi arrivarono gli anni di una nuova, prolifica produzione. Nel 2013 un piccolo editore, Carmel, venne a presentarmi l’Inferno (Tofét) tradotto da Yohav Rinnon, professore di letteratura comparata all’Università ebraica di Gerusalemme. Vi aveva collaborato la sua professoressa Ferretti Cuomo. Festeggiammo l’uscita del libro, la cui lettura era facilitata da numerose note e soprattutto si presentava in rime, come l’originale italiano.  Con la bibliotecaria dell’Istituto, Barbara Tagliacozzo, commentammo positivamente quella scelta. Luisa Cuomo fece anche tradurre il Purgatorio da Yoram Melcer, figlio della traduttrice di Garcia Marquez. Un anno dopo, nel 2014, usciva il compendio dello storico Leon Jacobowich Efron, Olamò shel Dante (Il mondo di Dante), e la casa editrice Magnes dava alle stampe una Commedia Elohit tradotta e illustrata, e con il testo a fronte e il commento, da Reuven Roberto Cohen, israeliano di origini fiorentine. Oggi si legge principalmente quella. Ed è il lavoro ciclopico di Reuven Cohen ad essere diventato anche l’audiolibro in ebraico della Commedia che l’Istituto Italiano di Cultura – che ne è promotore e finanziatore – presenterà al grande pubblico il prossimo 21 ottobre al Beit Bialik di Tel Aviv. “Parti di questo libro sono già state declamate il 25 marzo scorso, per il Dantedì, da due famosi attori israeliani, Lilian Barreto e Yaron London”, mi racconta l’attuale direttore dell’Istituto di Cultura Fabio Ruggirello, italianista e fortemente impressionato dall’amore di Israele per Dante.

    A conclusione del 700° anniversario della morte di Dante, Gerusalemme ospiterà un importante convegno internazionale presso l’Università Ebraica, dal titolo: Dante and World Literature: Reception, Philology, and the Future of the Humanities. Il Comitato organizzatore, coordinato dalla direttrice del Dipartimento di Studi Romanzi, Manuela Consonni, in collaborazione proprio con l’Istituto di Cultura. Per l’occasione si spera che potranno arrivare a Gerusalemme oltre quaranta dantisti provenienti da tutto il mondo. Fra essi: Giuseppe Mazzotta (Yale University), Justin Steinberg (University of Chicago), Alessandro Vettori (Rutgers University), Giuseppe Ledda (Università di Bologna), Natascia Tonelli (Università di Siena) che si uniranno ai diversi studiosi già attivi in Israele. La lectio magistralis di apertura del Convegno è affidata allo storico Alessandro Barbero.

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